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Scoprire il Parkinson con la tomoscintigrafia cerebrale recettoriale

La malattia di Parkinson colpisce allo stesso modo uomini e donne, con una leggera prevalenza per il sesso maschile, e ha un’età di esordio fra i 50 e i 60 anni, anche se il 5% delle persone può avere un esordio della malattia in un’età inferiore ai 40 anni.

Le cause del Parkinson non sono ancora del tutto conosciute. Si sa però che si tratta di una malattia degenerativa caratterizzata dalla perdita progressiva di alcune popolazioni neuronali specifiche. Le sedi in cui avviene il danno, per essere più precisi, sono i cosiddetti neuroni dopaminergici che, posizionati in aree selettive del cervello, controllano i movimenti più fini e precisi del nostro corpo.

Il decorso di questa malattia è evolutivo – cioè diviene sempre più presente nel tempo – e si manifesta con l’aggravamento di una disabilità caratterizzata da sintomi evidenti come tremore, rigidità degli arti, lentezza motoria e, soprattutto, diminuzione della capacità di eseguire movimenti.

Dal punto di vista della diagnosi è importante capire fin da subito, cioè in modo il più precoce possibile, se alcuni “segnali” che si stanno manifestando sono causati proprio dalla malattia di Parkinson. Per questo, quando si presume di avvertire prime avvisaglie di questa malattia, è bene sottoporsi a una visita di uno specialista neurologo, cui potranno fare seguito, se il medico lo dovesse ritenere opportuno, approfondimenti diagnostici strumentali.

Uno di questi, considerato molto efficace per l’individuazione del Parkinson, è la tomoscintigrafia cerebrale recettoriale, di cui parliamo con la dottoressa Lucia Setti, responsabile della Medicina Nucleare di Humanitas Gavazzeni di Bergamo.

In che cosa consiste l’esame della tomoscintigrafia cerebrale recettoriale?

«Si tratta di un esame che, prima di essere eseguito, prevede una valutazione preliminare del paziente, della documentazione clinica e della terapia domiciliare, una pre-medicazione a protezione della funzionalità della tiroide, l’iniezione di un radiofarmaco e, a una certa distanza di tempo, l’acquisizione di immagini che documentano la distribuzione di questo a livello cerebrale. Attraverso questa tomoscintigrafia vengono valutate, in particolare, la concentrazione del radiofarmaco a livello dei “nuclei della base” e l’integrità del meccanismo di trasmissione della dopamina, che risulta compromesso quando si è in presenza di malattia di Parkinson e nei parkinsonismi atipici, ma non in altre condizioni, come ad esempio nel caso del cosiddetto tremore essenziale».

Si può dunque dire che l’analisi delle immagini ottenute dopo la somministrazione del radiofarmaco consenta di valutare quanti trasportatori della dopamina sono presenti in una determinata parte del cervello?

«Sì, è proprio così. Se le immagini mostrano un’alta concentrazione di radiofarmaco a livello dei “nuclei della base”, la diagnosi di Parkinson può essere esclusa. Al contrario, una bassa concentrazione di questo a tale livello permette di confermare la diagnosi».

Quale durata ha l’esecuzione dell’esame e quali accortezze deve osservare il paziente dopo l’esecuzione di questo?

«La tomoscintigrafia cerebrale recettoriale comporta un tempo di esecuzione complessivo di circa 5-6 ore, condizionato soprattutto dal tempo richiesto per la distribuzione ottimale del radiofarmaco a livello cerebrale. Al termine dell’esame, il paziente può tornare a casa con l’unica accortezza di evitare contatti ravvicinati, nelle seguenti 48 ore, con bambini o donne in gravidanza, secondo le norme di radioprotezione richieste dall’impiego di radiofarmaci».

Che cosa avviene nel caso in cui sia diagnosticata una presenza di Parkinson?

«Se l’esito dell’esame rivela l’esistenza di un problema relativo alla trasmissione della dopamina e quindi viene documentata la presenza di malattia di Parkinson, il medico neurologo provvede a intraprendere un’efficace cura specifica a base di farmaci dopaminergici».