La steatosi epatica, patologia che è conosciuta anche con il nome di “fegato grasso”, è una condizione in cui il fegato accumula grassi in eccesso, facendolo spesso in modo “silenzioso”, perché la steatosi non si presenta con sintomi evidenti.
In base alle stime più recenti ne soffre più del 20% degli italiani ed è una patologia sempre più diffusa anche tra i giovani e spesso correlata a problematiche come sovrappeso, diabete e ipercolesterolemia.
Ne parliamo con il dottor Matteo Angelo Manini, specialista dell’Ambulatorio di Epatologia in Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
Quali sono le conseguenze della steatosi epatica sulla salute di chi ne è colpito?
«La steatosi è una condizione in genere benigna che può, però presentarsi già in fase precoce in una forma più aggressiva chiamata steatoepatite, oppure causare un lento ma crescente danno al fegato, con conseguente e progressiva formazione di cicatrici, la cosiddetta fibrosi epatica. E può, nei casi più gravi, evolvere nella cirrosi».
Quanto è importante individuare la presenza di steatosi epatica nella sua fase più precoce?
«È importantissimo. Il problema è che in molti casi la malattia viene scoperta per caso, magari in seguito a un’ecografia che è stata prescritta per altri motivi. E quando si arriva in ritardo, le conseguenze possono essere serie, soprattutto se già si è verificata fibrosi: maggiore ne è la formazione, maggiore è il rischio di andare incontro a complicanze come insufficienza epatica o carcinoma epatocellulare».
In che cosa consiste la diagnosi della steatosi epatica?
«Accanto all’esecuzione di un’ecografia e a apecifiche analisi del sangue, oggi uno degli strumenti diagnostici più efficaci per individuare la steatosi epatica è l’elastografia epatica (Fibroscan). Si tratta di un esame strumentale non invasivo, veloce e indolore, che permette di valutare in tempo reale la “rigidità” del fegato, quindi, indirettamente, il grado di fibrosi presente. Oltre a stimare lo stadio della fibrosi, con il Fibroscan riusciamo a seguirne anche l’evoluzione nel tempo. È quindi uno strumento fondamentale per capire quando è il momento di intensificare i controlli oppure, al contrario, diluirli nel tempo».
Per quanto riguarda la cura, quali strumenti abbiamo a disposizione per combattere la steatosi renale?
«Anche se sono in corso sperimentazioni promettenti, a oggi l’Agenzia Europea del Farmaco non ha ancora approvato farmaci specifici per la cura della steatosi epatica. Il pilastro resta dunque la modifica dello stile di vita, con attenzione all’alimentazione corretta, all’attività fisica regolare, alla riduzione o addirittura all’eliminazione dell’alcol e al controllo dei fattori di rischio metabolici. La maggior parte dei pazienti risponde positivamente con dieta ed esercizio, ma serve costanza. Per quanto riguarda il monitoraggio, nei casi più avanzati, o quando si sviluppa una steatoepatite, il follow-up si fa più stretto e prevede l’esecuzione di controlli periodici, monitoraggi con Fibroscan e, quando necessario, biopsia epatica».
Come spesso accade, anche per la steatosi renale è fondamentale la prevenzione…
«Sì, la prevenzione, basata in primo luogo su uno stile di vita equilibrato, è l’arma più efficace. Il messaggio è chiaro: non bisogna sottovalutare il fegato grasso, soprattutto quando si è in sovrappeso, ipertesi o diabetici. Il fegato ha una grande capacità di ripulirsi dal “grasso”, ma è importante che abbia il tempo e sia nelle giuste condizioni per poterlo fare. Diagnosi precoce e cambiamenti nello stile di vita fanno quindi la differenza».