Il nome, esofagite eosinofila, non è dei più facili da pronunciare e ricordare e corrisponde a una malattia infiammatoria cronica dell’esofago che un tempo era considerata piuttosto rara ma che negli ultimi anni mostra di essere sempre più presente anche in Italia, probabilmente anche grazie a una maggiore consapevolezza e capacità diagnostica.
Ne parliamo con la dottoressa Francesca Racca, allergologa di Humanitas Gavazzeni, membro del Comitato tecnico Scientifico dell’ESEO Italia APS e della società Europea dell’esofagite eosinofila (EUREOS), organi consultivi composti da esperti clinici e ricercatori specializzati nell’esofagite eosinofila e nelle patologie gastrointestinali eosinofile correlate, e con il dottor Alessandro de Marco, gastroenterologo di Humanitas Gavazzeni, che insieme hanno dato il via all’ambulatorio multidisciplinare dedicato a questa condizione.
Dottoressa Racca, cos’è l’esofagite eosinofila?
«L’esofagite eosinofila, o EoE, è una malattia infiammatoria dell’esofago in cui si riscontra un accumulo anomalo di eosinofili, un particolare tipo di globuli bianchi che sono normalmente coinvolti nelle risposte allergiche o parassitarie. Infiltrandosi nel tessuto dell’esofago, gli eosinofili gli impediscono di svolgere la propria funzione, ovvero quella di spingere giù il cibo che mangiamo».
Quali sono i principali sintomi dell’esofagite eosinofila?
«Il sintomo più frequente è la difficoltà a deglutire – la cosiddetta disfagia – soprattutto in presenza di cibi solidi come pane, carne o riso. I pazienti spesso riferiscono la sensazione che il cibo resti “bloccato” a livello dell’esofago, tanto da dover rendere necessario il bere molta acqua o il masticare a lungo per riuscire a deglutire. Altri sintomi possono essere reflusso e dolore toracico. Nei bambini invece sono frequenti dolore addominale, nausea o vomito e rifiuto del cibo. La malattia tende ad avere un andamento a fasi, con periodi di remissione e ricadute che si alternano nel tempo».
Quali persone sono più soggette a questa patologia?
«L’esofagite eosinofila può colpire persone di qualsiasi età, ma se ne registra una maggiore frequenza nei bambini e nei giovani adulti. Inoltre, è più comune nei maschi e nei soggetti con un profilo allergico, ovvero persone allergiche ad alimenti o inalanti come pollini e acari o nelle persone affette da dermatite atopica».
Dottor De Marco, Come si arriva alla diagnosi dell’esofagite eosinofila? Ci sono esami specifici?
«La diagnosi dell’esofagite eosinofila richiede l’esecuzione di una gastroscopia nel corso della quale viene eseguita una biopsia esofagea, vengono cioè prelevati piccoli campioni di tessuto esofageo, così da poterli analizzare successivamente al microscopio. La presenza di più di 15 eosinofili per campo ad alta risoluzione è uno dei criteri diagnostici fondamentali. È importante anche escludere altre possibili cause di eosinofilia esofagea, come il reflusso gastroesofageo, allergie a farmaci, malattie autoimmuni o infiammatorie croniche intestinali».
Come può essere curata questa infiammazione cronica dell’esofago?
«Il trattamento iniziale viene scelto insieme al paziente e prevede un approccio farmacologico o un approccio dietetico. L’approccio farmacologico utilizza gli inibitori di pompa protonica (PPI), farmaci comunemente usati per il reflusso, o gli steroidi topici, ovvero cortisonici solitamente utilizzati nell’asma, che vengono invece deglutiti. L’approccio dietetico di basa su “diete di eliminazione” mirate, che prevedono l’esclusione degli alimenti che scatenano la risposta infiammatoria. Per i casi più gravi o resistenti alle terapie, infine, abbiamo ormai anche a disposizione un farmaco biologico molto efficace, capace di agire in modo mirato sul sistema immunitario».
Quanto è importante l’approccio multidisciplinare nella gestione dell’esofagite eosinofila?
«È fondamentale. In Humanitas Gavazzeni, i pazienti con EoE sono seguiti da un team composto da allergologi, gastroenterologi e anatomopatologi. Solo con un lavoro di squadra è possibile offrire un percorso di cura efficace, adattato alle esigenze di ciascun paziente e sempre aggiornato con le più recenti evidenze scientifiche.
Quale messaggio si può trasmettere ai pazienti e alle loro famiglie?
«È fondamentale sottolineare che nonostante si tratti di una malattia rara e poco conosciuta, oggi abbiamo a disposizione molte più armi per riconoscerla e affrontarla. L’importante è non sottovalutare i sintomi e rivolgersi a centri specializzati: una diagnosi corretta e tempestiva è in grado di fare davvero la differenza».