Il 3 giugno ricorre la Giornata mondiale della bicicletta, data che coincide con il ritorno della bella stagione, quella in cui riprendono gli sport e le gite all’aria aperta che prevedono anche l’utilizzo del mezzo a due ruote più diffuso nel mondo.
L’utilizzo della bicicletta per gite ed escursioni – soprattutto da parte di chi non è uno sportivo agonista o ancor più di chi non è allenato a sufficienza – deve essere approcciato con la giusta attenzione, perché senza usare le dovute accortezze si rischia di incorrere in traumi di varia natura.
Il ciclismo è infatti responsabile di circa il 10–20% delle fratture da trauma sportivo, un dato che si riferisce sia ai praticanti amatoriali, sia a quelli professionisti e che riguarda l’uso di diverse tipologie di bicicletta: da corsa, mountain bike e da città.
Ne parliamo con i dottori Gennaro Fiorentino, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia, e Sebastiano Giambartino, ortopedico, di Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
Dottor Fiorentino, quali problemi possono sorgere a seguito di un uso scorretto della bicicletta?
«Le problematiche derivanti dal ciclismo sono principalmente di due tipi. La prima coincide con le cosiddette meccanopatie, cioè i problemi che nascono dalla particolare postura assunta sulla bicicletta. Mi riferisco al mal di schiena, alle lombosciatalgie o alle ernie da cattiva postura, al dolore al piede dovuto a un aggancio non corretto della scarpetta al pedale, alle problematiche che nascono dal cattivo appoggio sul sellino, che negli uomini, ad esempio, possono provocare patologie di natura prostatica. E poi è importante non sottovalutare il rischio di incidenti, che possono portare a lesioni ossee, come fratture, lussazioni, distorsioni, e a lesioni muscolari. Le fratture sono più o meno gravi a seconda dell’energia meccanica, e quindi della velocità, sviluppata al momento della caduta».
Quali sono le fratture più frequenti tra chi pratica ciclismo?
«Quelle più frequenti sono la frattura del femore, che si verifica quando si cade sull’anca; quella del polso, soprattutto per chi pratica mountain bike e, scivolando dal sentiero, cerca di attutire i danni appoggiando le mani a terra; le lussazioni e la frattura della clavicola, che si verificano quando, a seguito della caduta, si atterra sulla spalla».
Dottor Giambartino, come possiamo prevenire le problematiche di cui abbiamo finora parlato?
«Per quanto riguarda gli aspetti meccanopatici è fondamentale utilizzare una bicicletta adatta alla propria altezza: anche solo pochi centimetri in più o in meno possono comportare problemi di non poco conto. Importante è anche prestare attenzione alla “messa in sella”, cioè alla posizione che si assume mentre si pedala, che può essere valutata anche con l’aiuto di un professionista biomeccanico, soprattutto quando si soffre di neuropatie come sindrome del tunnel carpale o cervicobrachialgia. La regola generale rimane comunque quella di “dosare gli sforzi”, utilizzando il rapporto giusto per ogni percorso ed evitando i sovraccarichi. Diminuire il ritmo in salita è una buona regola, facendo lavorare molto anche i muscoli addominali. Infine va mantenuta una buona elasticità del tronco per rendere la pedalata più armonica. Molti ciclisti affiancano all’attività su strada anche un po’ di esercizi eseguiti in palestra, così da allenare tutte le parti del corpo, non solo le gambe. Per evitare o limitare i danni da caduta invece è fondamentale dotarsi, oltre che di una sana attenzione, di protezioni come ginocchiere, gomitiere, paraschiena e ovviamente il caschetto, che è imprescindibile».
La pratica del ciclismo è poco consigliata a qualcuno in particolare?
«È indubbio che le persone che si sono sottoposte a interventi di protesi all’anca o al ginocchio devono stare molto attente a tornare in bicicletta. Per loro è comunque sconsigliata la pratica della mountain bike, molto più traumatica in caso di caduta. Se proprio non possono farne a meno, è bene che si premurino di dotarsi di tutte le protezioni di cui ho parlato prima, in questi casi ancor più necessarie».
Dottor Fiorentino, abbiamo parlato delle problematiche, ma è indubbio che a livello amatoriale la pratica del ciclismo produca anche risvolti positivi dal punto di vista fisico. Quali sono?
«Il ciclismo amatoriale apporta molteplici benefici significativi per la salute osteoarticolare. Studi recenti mostrano che soggetti attivi in sport di resistenza, come il ciclismo, mantengono una densità minerale ossea (BMD) del 5–10% superiore rispetto ai sedentari, soprattutto a livello femorale. Sebbene sia uno sport a basso impatto, il movimento ripetitivo migliora la viscosità del liquido sinoviale, riducendo il rischio di artrosi del ginocchio fino al 30% nei praticanti regolari over 50. Il carico ridotto sulla colonna e sulle articolazioni portanti rende il ciclismo indicato anche in caso di osteoartrite lieve o moderata. Inoltre, il rinforzo dei muscoli stabilizzatori migliora l’equilibrio articolare e previene traumi. Uno studio olandese del 2021, infine, ha rilevato che 150 minuti/settimana di ciclismo riducono del 20% il rischio di rigidità articolare cronica. Un’efficacia che diviene massima quando la pratica di questo sport viene abbinata all’esecuzione di esercizi contro resistenza e stretching regolare».

