COME TI POSSIAMO AIUTARE?

CENTRALINO

035.4204111

Se hai bisogno di maggiori informazioni contattaci telefonicamente

PRENOTAZIONI

Prenotazioni telefoniche SSN
035.4204300
Prenotazioni telefoniche Private
035.4204500

LINEE DEDICATE

Diagnostica per Immagini
035.4204001
Fondi e Assicurazioni
035.4204400
Humanitas Medical Care Bergamo
035.0747000

Anestesia spinale “corta” e rispetto del paziente: la nuova frontiera della chirurgia protesica

Negli ultimi anni, la chirurgia ortopedica protesica ha compiuto passi da gigante dal punto di vista tecnico, un’evoluzione che riesce a mettere sempre più il paziente al centro dell’attenzione grazie a innovazioni che hanno portato a percorsi sempre più personalizzati, interventi mini-invasivi e tempi di recupero ridotti.

Ne parliamo con il dottor Vittore Costa, responsabile dell’Unità Funzionale di Chirurgia Ortopedica di Humanitas Gavazzeni di Bergamo, che ci racconta come l’innovazione in ambito anestesiologico stia contribuendo in modo decisivo a migliorare l’esperienza e il benessere delle persone che si sottopongono a interventi come la protesi d’anca o di ginocchio.

Dottor Costa, qual è oggi il ruolo dell’anestesista in un intervento ortopedico?

«L’anestesista oggi non è più solo “il dottore che addormenta il paziente”. Il suo ruolo è centrale nella costruzione di un percorso che tenga conto delle peculiarità e desiderata di ogni paziente al fine di attuare quelle procedure indispensabili alla riduzione del dolore, ottimizzazione delle condizioni fisiche e psichiche e in senso più generale migliorare il comfort e la soddisfazione del paziente.  Il nostro obiettivo è garantire che l’intervento di protesi all’anca o al ginocchio sia efficace e il post-operatorio il più possibile sereno, spiegando al paziente anche da dove può derivare il dolore e come possa essere gestito. Ma non solo: stiamo lavorando per ridurre al minimo anche le sensazioni sgradevoli che si possono legare alle varie tecniche anestesiologiche, come ad esempio l’immobilizzazione degli arti e il mancato controllo degli sfinteri».

Da questo punto di vista, in quale modo l’anestesia spinale “corta” rappresenta un’innovazione?

«La grande novità è il poter utilizzare un protocollo di anestesia spinale a breve durata, che permetta di anestetizzare solo l’arto interessato, in modo del tutto mirato e temporaneo. Parliamo di un effetto che ha una durata di un’ora o poco più, molto ridotta rispetto alle 4-6 ore delle anestesie spinali tradizionali. Questo significa che il paziente non deve restare immobile a letto per ore, con tutti i fastidi fisici e psicologici che ne possono derivare. Anzi, nella maggior parte dei casi, entra in sala operatoria camminando e ne esce che è già in grado di rimettersi in piedi».

Oltre al fatto di consentire una rapida mobilizzazione, quali sono altri vantaggi concreti di questa tecnica per il paziente?

«Il fatto di potersi alzare e camminare subito, favorisce un recupero molto più veloce e agisce positivamente sull’aspetto psicologico del paziente. In particolare, gli consente di evitare la sensazione di paralisi o di immobilizzazione a letto, che spesso è fonte di disagio e ansia. Questa tecnica, inoltre, riduce gli effetti collaterali cognitivi che sono tipici dell’anestesia generale o della sedazione profonda, come il senso di confusione mentale o il rallentamento nei movimenti».

In questo contesto, quanto è importante la personalizzazione dell’anestesia?

«È molto importante. La spinale corta è un tipo di anestesia che possiamo definire “sartoriale”, cucita su misura sul paziente. Richiede l’utilizzo di farmaci specifici a breve emivita – il cui effetto, cioè che si dissolve in tempi brevi –, un calcolo preciso del dosaggio, in un’ottima organizzazione della sala operatoria e in una stretta comunicazione tra chirurgo e anestesista. Il beneficio per il paziente è enorme e il nostro compito è proprio questo: mettere la persona al centro, sempre».

Questa attenzione si estende anche ad altri aspetti della degenza?

«Assolutamente sì. Tutto il nostro modello di intervento, dalla pre-abilitazione fino al ritorno a casa, è basato su un approccio paziente-centrico. Siamo attenti anche a piccoli particolari che consideriamo di importanza fondamentale. Consigliamo ai nostri pazienti, ad esempio, di portare il proprio cuscino da casa: un oggetto semplice, ma che aiuta a dormire meglio, riduce il rischio di dolori cervicali e porta con sé l’odore di casa, creando un senso di familiarità. Stiamo anche lavorando con i nostri anestesisti per realizzare una lingerie operatoria specifica: slip e top monouso, studiati per garantire la sicurezza in sala, ma anche per tutelare la dignità del paziente, soprattutto in momenti delicati come l’ingresso in sala operatoria. La nudità forzata può essere fonte di disagio, in particolare per le donne, i pazienti fragili o chi ha particolari sensibilità religiose o culturali. Pensiamo che rispettare questi aspetti sia una parte imprescindibile della cura».

Si può quindi parlare di un’evoluzione culturale oltre che tecnica?

«È proprio così. La vera innovazione non è solo tecnologica, è anche umana. Oggi non basta più essere efficienti: bisogna anche essere gentili, attenti, empatici. Quando un paziente si sente accolto, rispettato e ascoltato, si fida, collabora meglio e guarisce prima. La gratitudine che riceviamo in cambio è la prova che questo approccio funziona».

Quindi meno farmaci, più attenzione. Meno immobilità, più dignità. È questo il futuro della chirurgia ortopedica?

«Esattamente. Interventi meno invasivi, anestesie più brevi e mirate, recuperi più rapidi, ma soprattutto una medicina che non dimentica gli aspetti legati all’umanità. Il nostro obiettivo non è solo dimettere il paziente in tempi brevi, ma fare in modo che stia davvero bene, che viva l’esperienza chirurgica nel modo più sereno possibile. E questa è una responsabilità che condividiamo tutti: medici, anestesisti, infermieri. Il paziente non è un corpo da operare, è una persona da curare».

Ortopedia E Traumatologia

Visite ed esami

Torna su