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Ablazione di tachicardia atriale

Ablazione di tachicardia atriale

 

Attraverso l’ablazione si può eliminare il gruppo di cellule responsabili dell’aritmia.

 

In caso di tachicardia atriale, gli approcci per l’ablazione saranno diversi in base al sito di origine.

 

In caso di tachicardie ad origine dall’atrio sinistro potrà essere necessario eseguire la puntura transettale per raggiungere le sezioni cardiache di sinistra.

 

Alcune tachicardie atriali possono dipendere invece da un rientro riconoscibile macroscopicamente e, solitamente, si presentano a frequenza più elevata (anche oltre i 250 bpm). In questi casi si parla di flutter atriali, che sono delle aritmie da rientro in cui l’intero corto circuito a sostegno dell’aritmia è posizionato all’interno degli atri.

Parliamo di flutter atriale tipico se il circuito si trova nell’atrio destro e attraversa l’area tra la vena cava inferiore e la valvola tricuspide. Solitamente il flutter atriale risulta poco sensibile ai farmaci e spesso è richiesta la cardioversione elettrica. È possibile che lo studio elettrofisiologico confermi la diagnosi di flutter atriale tipico: in tal caso verrà eseguita l’ablazione transcatetere dell’istmo cavo-tricuspidalico.

Si verificherà il ripristino del ritmo sinusale durante l’erogazione di radiofrequenza se viene eseguita in corso di aritmia.

Nel caso di flutter atriale atipico sarà necessaria l’identificazione del circuito specifico dell’aritmia: in genere la manifestazione di un flutter atipico avviene in presenza di una cardiopatia strutturale e in esiti di un intervento cardiochirurgico.

 

Generalmente il circuito dell’aritmia si verifica attorno alle barriere di conduzione rappresentate dalle suture chirurgiche correlate alle barriere anatomiche fisiologiche. Dopo avere individuato il percorso dell’aritmia, dunque, sarà necessaria l’identificazione del “punto debole”, dove l’ablazione potrà avere successo con maggiore sicurezza e semplicità.

Ablazione trans catetere

Ablazione trans catetere

 

L’ablazione trans catetere rappresenta una procedura terapeutica mirata al trattamento e all’eliminazione di diverse aritmie cardiache mediante la bruciatura, in seguito all’erogazione di radiofrequenza del sito o della via anomala che determinano l’aritmia.

 

Che cos’è l’ablazione trans catetere?

L’ablazione trans catetere è una procedura terapeutica capace di trattare ed eliminare molte delle aritmie cardiache tramite la bruciatura, con radiofrequenza, del sito o della via anomala interessati dalla genesi dell’aritmia stessa.

L’esecuzione di questa procedura viene effettuata dopo lo studio elettrofisiologico, ossia un altro esame che consiste nel valutare il sistema elettrico del cuore e che rappresenta la base per la successiva caratterizzazione ed eliminazione dell’eventuale aritmia presente.

 

Funzionamento dell’ablazione trans catetere

L’esecuzione dell’ablazione trans catetere avviene attraverso l’erogazione di energia elettrica (radiofrequenza) dalla punta metallica di un particolare elettrocatetere, di materiale plastico, che viene introdotto per via venosa (generalmente femorale) e portato, sotto guida fluoroscopia (raggi X) all’interno del cuore; l’erogazione di energia elettrica determina un riscaldamento della punta metallica, e tale riscaldamento causa delle piccolissime bruciature. In base alla lettura dei segnali elettrici riportati, si posiziona il catetere nel punto in cui appare più facile l’ottenimento dell’interruzione dell’aritmia; con questa metodica si applica la radiofrequenza soltanto nei punti interessati dalla genesi dell’aritmia e il tessuto miocardico normale non viene danneggiato.

 

Come avviene la procedura?

Le ablazioni trans catetere in gran parte vengono eseguite quando il paziente è cosciente (tranne nel caso dell’ablazione della fibrillazione atriale) e pertanto in qualsiasi momento è possibile per il paziente comunicare con il medico operatore, segnalando ogni eventuale disturbo. In gran parte dei casi, tuttavia, la procedura non dà luogo ad una particolare sintomatologia se non una lieve sensazione di bruciore mentre viene erogata la radiofrequenza. Perché la procedura abbia successo è necessario avere la collaborazione del paziente, il quale deve muoversi il meno possibile (in special modo mentre viene erogata la radiofrequenza) per evitare che il catetere ablatore cambi posizione, evenienza che potrebbe influire sull’esito positivo della procedura stessa.

 

 

Ablazione trans catetere della tachicardia da rientro nodale

Ablazione trans catetere della tachicardia da rientro nodale

 

Una volta risolto l’episodio aritmico, si può procedere con lo studio elettrofisiologico con ablazione trans catetere del circuito della tachicardia, che attualmente rappresenta la terapia riconosciuta come gold standard per il trattamento della tachicardia da rientro nodale. Nei pazienti con doppia via nodale il decorso della via rapida all’interno del nodo atrioventricolare corrisponde al tratto superiore e anteriore, mentre il tratto posteriore corrisponde alla via lenta.

Lo studio elettrofisiologico comporta l’esecuzione di stimolazioni atriali e ventricolari allo scopo di evidenziare la presenza della duplicità nodale AV. Dopo aver confermato la presenza di doppia via nodale e dopo aver fatto diagnosi di TRN, si prosegue con l’ablazione della via lenta che consiste nell’erogazioni di polsi puntiformi, millimetrici, di radiofrequenza, effettuati con un catetere ablatore, in corrispondenza della via lenta, in modo tale da interrompere la conduzione elettrica lungo uno dei due bracci del cortocircuito (la via lenta anterograda).

Dopo aver eliminato la via lenta viene nuovamente eseguito lo studio elettrofisiologico in modo da confermare la buona riuscita della procedura, registrando l’impossibilità a comportare di nuovo tachicardie. L’esame elettrofisiologico e l’ablazione vengono eseguiti in anestesia locale, eseguita a livello inguinale destro.

Gli elettrocateteri necessari per lo studio elettrofisiologico e per l’ablazione vengono inseriti mediante la puntura della vena femorale. Il pomeriggio stesso il paziente si può alzare e la mattina successiva può essere dimesso.

Angioplastica carotidea e stenting

Angioplastica carotidea e stenting

 

L’angioplastica carotidea è una procedura non invasiva di Interventistica Radiologica, con la quale si può eseguire la rimozione di ostruzioni presenti nelle carotidi, le due principali arterie del collo che portano il sangue dal cuore al cervello. È possibile, infatti, che questi due vasi arteriosi si restringano (stenosi), principalmente a causa dell’aterosclerosi, patologia caratterizzata dall’accumulo di placche di grasso, riducendo o interrompendo del tutto il flusso del sangue al cervello, con un elevato rischio di ictus. Con la stessa procedura effettuata attraverso l’introduzione nei vasi sanguigni di piccole cannule in anestesia locale è possibile anche procedere al posizionamento di cilindri metallici (stent) che mantengono la dilatazione delle carotidi evitando che possano restringersi e chiudersi di nuovo.

 

Che cos’è l’angioplatica carotidea e stenting?

Nonostante siano recenti, l’angioplastica carotidea e lo stenting sono procedure già ampiamente consolidate nella pratica medica. Possono sostituire l’intervento chirurgico, permettendo di pulire e liberare le arterie carotidi da accumuli di grasso che rappresentano un ostacolo al passaggio del sangue e possono ridurre il flusso di ossigeno al cervello, provocando l’infarto cerebrale anche noto come ictus. Le cause più comuni sono colesterolo alto, ipertensione e fumo. Oltre a chiudersi per l’accumulo di placche aterosclerotiche, nelle carotidi si possono anche formare pericolosi trombi, ossia coaguli di sangue che occludono il vaso sanguigno in cui si sono formati, o si muovono bloccando il passaggio in altri punti del sistema sanguigno.

Nella procedura è incluso anche l’inserimento di una sottile cannula (catetere) all’altezza dell’inguine, nell’arteria femorale. L’intervento viene eseguito in anestesia locale, in modo tale che il paziente possa riferire le proprie sensazioni durante la procedura. Le immagini radiografiche guidano il catetere fino al punto occluso dalle placche. In seguito, si prosegue con la dilatazione del tratto malato e con il posizionamento di un tubicino in rete metallica (stent), costituito da materiale compatibile con l’organismo umano. Lo stent viene rilasciato nella parte del vaso sanguigno soggetta a restringimento per proteggere le pareti delle arterie ed evitare che tornino a chiudersi.

La procedura dura per un tempo di circa 1-2 ore. Generalmente il paziente viene dimesso il giorno successivo all’intervento.

 

Quale ospedalizzazione viene richiesta?

La procedura avviene in anestesia locale. Il paziente resta sveglio mentre tutto l’intervento viene eseguito e ha la possibilità di riferire allo staff sanitario ogni sensazione. Lo staff di anestesiologi è sempre presente durante l’intervento per monitorare tutti i parametri correlati alla procedura.

 

Quali sono i vantaggi dell’angioplastica carotidea e stenting?

Come tutte le procedure mediche, l’angioplastica carotidea presenta un profilo di rischio che viene stimato rispetto ai benefici che si possono ottenere dalla procedura, ossia la riduzione di un alto rischio di ictus o di trombosi. L’angioplastica viene indicata se la stenosi supera il volume del vaso sanguigno del 75% oppure se il paziente è a rischio di ictus o è già stato colpito da ictus.

Nei casi in cui i pazienti non possano o non vogliano sottoporsi alla chirurgia un trattamento alternativo all’intervento (endoarteriectomia arteriosa) è rappresentato dall’angioplastica.

Ci sono dei rischi legati al possibile distacco di frammenti delle placche aterosclerotiche che immettendosi nel circolo sanguigno giungono al cervello provocando un attacco ischemico transitorio (2-3% dei casi) o ictus ischemico (1,2% dei casi). Tali eventualità vengono evitate attraverso l’introduzione di speciali barriere (chiamate “filtri”) che consentono il trasporto all’esterno delle scorie prelevate durante la pulizia delle carotidi.

 

È doloroso o pericoloso?

Il trattamento è indolore, in quanto viene eseguito in anestesia locale.

Le complicanze più gravi sono l’attacco ischemico transitorio e l’ictus ischemico. Altre conseguenze più rare possono essere difficoltà respiratorie, battiti cardiaci irregolari, perdita di coscienza. Nell’1% dei casi è possibile avere reazioni minori come starnuti o nausea e un peggioramento temporaneo della funzione renale, correlato all’uso del mezzo di contrasto per la guida del catetere che viene progressivamente espulso attraverso il consumo abbondante d’acqua nelle ore successive all’intervento.

 

Chi può sottoporsi al trattamento?

I candidati vengono selezionati seguendo dei criteri medici e radiologici, allo scopo di individuare le caratteristiche che rendono l’angioplastica più opportuna ed efficace, ma ugualmente sicura, rispetto al trattamento chirurgico.

 

Follow-up

Dopo l’angioplastica il paziente deve restare a letto e a riposo per 12-24 ore durante le quali le sue condizioni di salute sono sottoposte al monitoraggio costante.

Nei mesi successivi sono previsti nuovi controlli per escludere la probabilità di restenosi, che si ha quando il vaso sanguigno torna a restringersi.

 

Norme di preparazione

Prima della procedura, si sottopone il paziente a una vista accurata in cui si procede alla raccolta di tutti i dati concernenti la sua salute e quella dei familiari più stretti.

Vengono effettuati gli esami per valutare lo stato delle arterie: ecodoppler carotideo, ed Angio-Tc dei vasi del collo. Prima dell’intervento si comunicano al paziente tutte le informazioni su ciò che può mangiare e bere e fino a quando. Se il paziente assume farmaci, lo staff sanitario comunicherà quali dovrà eventualmente sospendere, in particolare se assume farmaci per la cura del diabete o antiaggreganti.

Impianto di dispositivo antitachicardico (defibrillatore)

Impianto di dispositivo antitachicardico (defibrillatore)

 

Che cos’è il defibrillatore automatico impiantabile (ICD)?

Il defibrillatore automatico impiantabile (ICD) è un dispositivo realizzato per il trattamento di aritmie ventricolari potenzialmente rischiose per la vita del paziente. I pazienti che possono ricevere tale dispositivo sono quelli sopravvissuti a un arresto cardiocircolatorio, quelli colpiti da cardiopatie potenzialmente a rischio di sviluppare aritmie ventricolari pericolose e da tachicardie ventricolari non responsive a terapia medica e per le quali non vi sia indicazione all’ablazione transcatetere. In aggiunta ad una funzione antitachicardica, i defibrillatori svolgono anche una funzione antibradicardica, per cui risultano in grado di stimolare il cuore nel caso in cui la frequenza cardiaca diventi troppo bassa (analogamente al pacemaker).

 

Funzionamento dell’impianto del defibrillatore

L’impianto del defibrillatore segue le stesse fasi dell’impianto di pacemaker. Nella prima parte si verifica il posizionamento degli elettrocateteri, ovvero i “fili elettrici” che arrivano al cuore; il loro numero può variare da uno a tre in base al tipo di dispositivo che è necessario impiantare.

Si inseriscono gli elettrocateteri all’interno di una vena (succlavia o cefalica, generalmente sinistre, a seconda dell’anatomia del singolo paziente e delle preferenze dell’Operatore) selezionata utilizzando una delle diverse tecniche disponibili. Quando vengono introdotti nel sistema venoso, gli elettrocateteri sono spinti sotto guida fluoroscopica (raggi X) all’interno delle camere cardiache (atrio destro, ventricolo destro, seno coronarico) e, attraverso l’uso di computer analizzatori, posizionati nei punti dove possono sentire meglio l’attività cardiaca e dove riescono a stimolare il cuore spendendo la minore energia possibile.

Una volta verificata la stabilità dei cateteri e dei loro parametri elettrici, essi vengono fissati al muscolo sottostante e in seguito collegati al defibrillatore; il generatore è posizionato sottocute mediante una piccola incisione che viene in seguito richiusa attraverso il filo di sutura (che spesso si può riassorbire, quindi non risulta necessario rimuovere successivamente i punti).

 

Come avviene la procedura?

Il posizionamento del defibrillatore si esegue in anestesia locale, mentre il paziente è cosciente e collabora. La durata dell’impianto può variare in media dai 45 ai 90 minuti.

Il tutto viene effettuato in regime di ricovero.

Dopo l’impianto e un breve periodo di allettamento, si eseguono un controllo elettronico del dispositivo ed una radiografia del torace per poter valutare il posizionamento degli elettrocateteri.

 

L’impianto del dispositivo antitachicardiaco è doloroso o pericoloso?

In genere la procedura viene ben tollerata; in caso di dolore si aumenta il dosaggio di anestetico locale o, più raramente, si pratica una sedazione profonda con assistenza anestesiologica.

 

Ci sono complicanze?

Tra le complicanze più di frequente collegate alle manovre di impianto si trovano la formazione di un ematoma locale in sede di impianto (che solitamente si riassorbe spontaneamente dopo qualche giorno), un possibile danno dei vasi venosi utilizzati per l’accesso (con conseguente trombosi ed eventuale flebite), eventuale pneumotorace in caso di puntura della vena succlavia (passaggio di aria all’interno della cavità pleurica, nella maggior parte dei casi asintomatico ed autorisolventesi, che di rado richiede un posizionamento di drenaggio temporaneo), eventuale versamento pericardico secondario a perforazione della parete miocardica degli elettrocateteri (evenienza che si verifica molto raramente e che in alcuni casi può comportare un posizionamento di drenaggio temporaneo).

 

Follow-up

Dopo circa 7-10 giorni dall’impianto si procede ad una valutazione ambulatoriale della ferita chirurgica e, se viene utilizzato un filo di sutura non riassorbibile, si rimuovono i punti di sutura.

I pazienti portatori di defibrillatore impiantabile devono in seguito sottoporsi ad un controllo semestrale del dispositivo.

 

 

Occlusione percutanea dell’auricola sinistra

Occlusione percutanea dell’auricola sinistra

 

Strategia terapeutica mirata all’occlusione dell’auricola sinistra, dove più frequentemente ha sede l’insorgenza di trombi. Questi determinano uno stroke ischemico in pazienti colpiti da fibrillazione atriale.

 

Che cos’è l’occlusione percutanea dell’auricola sinistra?

Una delle complicanze più temibili della fibrillazione atriale è lo stroke ischemico, in special modo quando manca un’adeguata scoagulazione. In questi casi si deve ricercare la causa negli eventi trombo embolici secondari alla stasi del sangue all’interno della cavità atriale di sinistra che facilita l’aggregazione piastrinica e la formazione di trombi che possono distaccarsi dalle pareti e penetrare il circolo arterioso. All’interno dell’atrio di sinistra esiste un recesso anatomico, chiamato auricola, all’interno della quale la stasi ematica viene particolarmente favorita e che pertanto rappresenta frequente sede di origine di trombi.  Uno dei principali motivi per cui, all’interno delle linee guida di gestione della fibrillazione atriale, è raccomandata la scoagulazione è la prevenzione dello stroke ischemico. Nella maggior parte dei pazienti, la scoagulazione si ottiene mediante la somministrazione di anticoagulanti orali (es. warfarin, acenocumarolo).

Tuttavia è possibile che la gestione di questa terapia presenti delle difficoltà, poiché l’effetto dei farmaci è prevedibile solo parzialmente, per cui deve essere costantemente monitorato effettuando esami del sangue frequenti e periodici e individualizzando la dose per ogni singolo paziente fino a trovare la posologia adatta per ottenere un adeguato regime di scoagulazione. Inoltre, ci può essere l’interazione tra diversi altri farmaci e cibi a vari livelli del metabolismo degli anticoagulanti orali, determinandone fluttuazioni dei livelli ematici e di conseguenza variazioni di efficacia (eccesso di scoagulazione o, viceversa, insufficiente scoagulazione).

Nei pazienti molto anziani, poi, la gestione della terapia anticoagulante può risultare particolarmente complessa, anche a causa del rischio di sanguinamento che, spesso, risulta essere molto maggiore rispetto a quello ischemico.

 

Sono stati compiuti molti sforzi fatti alla ricerca di diverse strategie terapeutiche alla luce di queste limitazioni della terapia anticoagulante orale. Una di queste, molto promettente, riguarda l’occlusione transcatetere dell’auricola di sinistra, dove più frequente ha sede l’insorgenza di trombi.

 

Come funziona l’occlusione percutanea dell’auricola sinistra?

Questa procedura si realizza introducendo occlusori meccanici per via venosa, facendoli passare attraverso il setto interatriale (tramite puntura transettale) e andando quindi a occludere l’auricola di sinistra. I pazienti che devono sottoporsi a questo tipo di procedura vengono valutati mediante ecocardiografia per ottenere precise misurazioni della grandezza dell’auricola (in modo tale da guidare la scelta del miglior device da utilizzare per l’occlusione) e vengono pretrattati (a partire da 48 ore prima della procedura) con farmaci antiaggreganti (acido acetilsalicilico e clopidogrel) e antibiotici.

 

 

pre        post

 

Come avviene la procedura?

occl1Mentre l’intervento viene eseguito, in considerazione del fatto che gran parte delle manovre avviene all’interno delle sezioni di sinistra del cuore, viene mantenuto un adeguato regime di scoagulazione con eparina endovena. Una volta terminata la procedura, tutti i pazienti vengono mantenuti in terapia cronica con acido acetilsalicilico, a meno che non ci siano controindicazioni specifiche. Il follow up successivo avviene con esami ecocardiografici periodici.

La procedura viene eseguita in regime di ricovero e solitamente ha una durata di non meno di 2 ore.

 

L’occlusione percutanea dell’auricola sinistra è dolorosa o pericolosa?

Essendo condotta in sedazione profonda con assistenza anestesiologica la procedura non risulta essere dolorosa. Le probabilità di un rischio di eventi trombotici cerebrali secondario all’inserzione di materiale estraneo nelle sezioni di sinistra del cuore sono pochissime.

 

occl2Chi può sottoporsi al trattamento?

Tutti i pazienti che non possono assumere terapia anticoagulante a causa di controindicazioni (sanguinamenti pregressi o in atto, ipersensibilità ai componenti) o difficoltà nel gestire la terapia e tutti coloro che hanno avuto eventi tromboembolici nonostante terapia anticoagulante ottimale.

 

Follow-up

In assenza di complicanze il paziente viene dimesso il giorno successivo. Nei successivi controlli viene effettuata una valutazione con ecocardiogramma transesofageo dopo 4-6 mesi dall’impianto e una successiva visita clinica.

 

 

Sistema di navigazione magnetica remota niobe stereotaxis

Sistema di navigazione magnetica remota niobe stereotaxis

 

Si tratta di una tecnologia che permette il trattamento di aritmie cardiache con un elevato grado di efficienza, sicurezza e precisione. Utilizzando un software, il medico guida due magneti posizionati vicino al paziente; questi, a loro volta, direzionano un catetere all’interno del cuore del paziente.

Che cos’è la stereotaxis?

Rappresenta un sistema all’avanguardia che consente ai medici di eseguire il trattamento di aritmie cardiache con un elevato grado di efficienza, sicurezza e precisione. Utilizzando un sofisticato software il medico può guidare due potenti magneti posizionati vicino al paziente; questi, a loro volta, direzionano dolcemente un catetere, controllandone la punta magnetica, all’interno del cuore del paziente.

 

A cosa serve?

Attraverso questo sistema il medico può posizionare in modo sicuro il catetere in base a dove risulta necessario somministrare la terapia. Pertanto il medico può attivare il catetere ed eseguire il trattamento. I campi magnetici generati dai magneti hanno un’intensità che è circa il 10% di quella tipicamente generata dai campi di apparecchiature di Risonanza Magnetica, tecnologia che viene largamente impiegata in medicina da oltre vent’anni, in totale sicurezza per i pazienti.

Poiché la punta del catetere di lavoro viene controllata da un campo magnetico, il medico mantiene un controllo digitale di alta precisione sulla punta del catetere, indipendentemente dalla distanza percorsa o dal numero di giri che il catetere deve effettuare per arrivare al tessuto malato. Il catetere viene guidato dalla punta tramite il campo magnetico e non spinto a mano, come avviene nelle procedure di ablazione manuale; non ha bisogno di un corpo rigido ed è perciò estremamente morbido e flessibile e quindi estremamente sicuro quando poggiato contro la parete di un cuore che batte o quando si viaggia attraverso il delicato sistema vascolare.

 

Quando viene utilizzata la stereotaxis?

È possibile utilizzare questo sistema per trattare l’insufficienza cardiaca e le malattie coronariche, anche se il suo impiego principale è nel trattamento delle aritmie cardiache: ovvero qualsiasi disturbo del ritmo normale del cuore.

Che vantaggi presenta il Sistema Niobe?

Questa tecnologia permette un nuovo standard di cura non invasiva ed efficace per i pazienti che possono avere avuto terapia farmacologica anti-aritmica non efficace e che risultano candidati all’ablazione trans catetere. Le procedure di ablazione con il Sistema Niobe sono estremamente sicure. A livello globale, i medici hanno eseguito più di 30.000 procedure di ablazione servendosi di questa tecnologia. Eventi avversi e complicanze maggiori si sono verificati in meno dello 0,1% dei casi.

 

Altri vantaggi che il sistema presenta sono:

Procedure più brevi o con tempi di recupero più veloce, che permette ai pazienti un ritorno alla normale attività dopo pochi giorni.

Una minore esposizione del paziente all’esposizione di raggi X e di mezzi di contrasto.

 

È doloroso o pericoloso?

In genere la procedura viene ben tollerata dai pazienti, grazie al fatto che in gran parte essa viene effettuata in sedazione profonda. È possibile che si presenti qualche malessere nel momento del reperimento degli accessi vascolari femorali (procedura a volte eseguita quando il paziente è ancora sveglio) o dell’allettamento successivo (generalmente fino alla mattina del giorno successivo).

Chi può sottoporsi al trattamento?

Tutti i pazienti che possono essere sottoposti a procedure di ablazione transcatetere.

Ci sono norme di preparazione o post-esame?

Non sono previste norme di preparazione.

Cardio Center

Stimolazione biventricolare per la cura dello scompenso cardiaco refrattario

Stimolazione biventricolare per la cura dello scompenso cardiaco refrattario

 

La contrazione del cuore dei pazienti con scompenso cardiaco refrattario avviene in maniera disarmonica e l’attività meccanica risulta inefficace e inadeguata. È possibile correggere in parte questo stato di alterata contrazione praticando una stimolazione di entrambi i ventricoli.

 

Di cosa si tratta?

Lo scompenso cardiaco refrattario si presenta come una condizione clinica in cui una terapia medica ottimizzata non è in grado di apportare miglioramento o di arrestare l’evoluzione della malattia nei pazienti con importante disfunzione ventricolare sinistra e dilatazione del cuore. La contrazione del cuore di questi pazienti, e in particolare di coloro che manifestano un difetto della conduzione dell’impulso noto come blocco di branca sinistra, avviene in modo disarmonico e l’attività meccanica risulta, pertanto, essere inefficace e inadeguata alle esigenze dell’organismo. È possibile correggere in parte questo stato di alterata contrazione praticando una stimolazione di entrambi i ventricoli.

 

Funzionamento della stimolazione biventricolare

Lo stato di alterata contrazione può essere corretto in parte praticando la stimolazione dei ventricoli destro e sinistro tramite il posizionamento di due elettrocateteri: uno in ventricolo destro e uno all’interno di un vaso venoso, il seno coronarico, che decorre lungo la parete del ventricolo sinistro. Attraverso la stimolazione simultanea da entrambe le sedi è possibile avere una contrazione cardiaca più armonica e si può, potenzialmente, migliorare la performance cardiaca, la portata cardiaca e la sintomatologia dei pazienti affetti da scompenso cardiaco (mancanza di fiato, ritenzione idrica). Con la stimolazione biventricolare non si ha un beneficio immediato, in quanto la modificazione della meccanica cardiaca avviene nell’arco di qualche mese.

 

Come avviene la procedura?

La procedura viene eseguita in anestesia locale analogamente all’impianto di pacemaker e defibrillatore. La durata può essere variabile a seconda delle difficoltà incontrate nel posizionamento dell’elettrocatetere ventricolare sinistro, ed è inclusa solitamente in un range che va da 1 a 3 ore. Il tutto viene eseguito in regime di ricovero (degenza media 5 giorni).

 

Vi è un potenziale miglioramento della funzione cardiaca e di conseguenza una riduzione della sintomatologia tipica dello scompenso cardiaco.

 

È doloroso/pericoloso?

La procedura viene effettuata in anestesia locale e in genere viene ben tollerata. Raramente, in caso di importante sintomatologia dolorosa, è possibile ricorrere alla sedazione profonda con assistenza anestesiologica.

 

Chi può sottoporsi al trattamento?

Buona parte dei pazienti soggetti a scompenso cardiaco refrattario e funzione ventricolare sinistra ridotta.

 

Follow-up

Dopo essere stato dimesso, il paziente deve sottoporsi a controlli semestrali del dispositivo, parallelamente alle valutazioni cliniche cardiologiche.

Terapie farmacologiche per il trattamento delle aritmie

Terapie farmacologiche per il trattamento delle aritmie

 

In caso di aritmie cardiache si ricorre spesso al trattamento farmacologico attraverso la somministrazione di farmaci antiaritmici o antiaggreganti/anticoagulanti. In entrambi i casi i pazienti sono sottoposti a monitoraggio durante la terapia.

 

Di cosa si tratta?

Il trattamento farmacologico rappresenta spesso il primo presidio utilizzato per i pazienti soggetti ad aritmie cardiache. Le classi di farmaci che si utilizzano maggiormente sono gli antiaritmici veri e propri e i farmaci antiaggreganti/anticoagulanti, che spesso risultano necessari in considerazione dell’aumentato rischio trombotico di diverse aritmie.

 

L’assunzione di farmaci antiaritmici di qualunque classe rende necessario che i pazienti si sottopongano a periodico monitoraggio cardiologico allo scopo di valutarne l’efficacia e l’eventuale comparsa di effetti collaterali.

 

I pazienti che assumono farmaci anticoagulanti orali devono sottoporsi ad uno scrupoloso monitoraggio dell’entità della scoagulazione del sangue attraverso esami del sangue periodici; tali esami guidano nella scelta del dosaggio dei farmaci per poter ottenere il miglior profilo coagulativo possibile (maggior beneficio e minor rischio di effetti collaterali come il sanguinamento).

 

 

Trattamento farmacologico della fibrillazione atriale

Trattamento farmacologico della fibrillazione atriale

 

È possibile che il trattamento terapeutico della fibrillazione atriale sia farmacologico, con l’assunzione di farmaci antiaritmici che devono essere assunti 2-3 volte al giorno. I farmaci attualmente disponibili sul mercato sono molto efficaci nella prevenzione delle recidive aritmiche ma non raggiungono il successo totale; pertanto è possibile che molti pazienti presentino ancora delle recidive aritmiche che possono spingerli a recarsi continuamente al pronto soccorso. L’utilizzo di farmaci antiaritmici può essere considerato opportuno in base anche alla presenza di co-morbidità e alla presenza degli inevitabili effetti collaterali dei farmaci che, in teoria, se efficaci dovrebbero essere assunti sine die.

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