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Vuoti di memoria, come capire quando c’è da preoccuparsi

Davvero il declino cognitivo è un problema con cui prima o poi tocca fare i conti? A chi non è capitato di scordare dove ha parcheggiato l’auto o dimenticare una scadenza importante?

I più pessimisti interpretano questi segnali come l’anticamera di malattie degenerative molto serie, come quella di Alzheimer.

Qui ci vuole il neurologo

Ma non si deve far confusione fra situazioni fisiologiche, anche correlate all’età, i cui effetti si possono in qualche misura prevenire con un equilibrato stile di vita, e quadri patologici come quelli delle malattie neurodegenerative.

Ne parliamo con la dottoressa Paola Merlo, responsabile dell’Unità Operativa di Neurologia presso l’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo. La dottoressa, in collaborazione con l’ATS locale, ha contribuito al progetto del percorso “Chi ha gambe ha testa”, inaugurato di recente nel parco dell’ospedale Humanitas Gavazzeni, dove sono stati collocati cartelli che propongono semplici sercizi per allenare logica e memoria, facendo nel contempo attività fisica.

«Le malattie neurodegenerative, che implicano la morte delle cellule cerebrali, possono manifestarsi in varie forme di demenza – esordisce la specialista –. La demenza sarà un problema sempre più diffuso: si prevede che in Italia, nel 2020, ne verranno diagnosticati 213mila nuovi casi in un anno».

Ciò si spiega con l’aumento dell’età media della popolazione, «anche se l’età avanzata rappresenta solo un “fattore di rischio” per questa patologia. A esporre l pericolo di demenze sono infatti anche altri problemi quali la depressione, l’ipertensione arteriosa, il diabete e i disturbi cardiovascolari – prosegue –. Il vero allarme dovrebbe scattare quando si notano veri segnali di cambiamento, che non coinvolgano la sola sfera cognitiva come il disturbo della memoria, ma anche quella comportamentale e affettiva: una deflessione del tono dell’umore o uno stato di ansia, a volte con un impoverimento del linguaggio o la difficoltà a risolvere problemi del quotidiano» precisa la dottoressa Merlo.

Non sempre chi è affetto da tali disturbi ne ha la consapevolezza, mentre è facile che se ne accorgano i parenti o le persone più vicine: ma la situazione ha numerose sfumature, e troppo spesso si tende a dare etichette di malattia non così appropriate. Il quadro clinico deve essere approfondito con gli strumenti a disposizione dello specialista, come un’accurata anamnesi e una visita neurologica, con test neuropsicologici standardizzati a livello internazionale ed esami strumentali a volte anche più sofisticati quali la risonanza magnetica, la PET (tecnica di medicina nucleare che valuta alterazioni metaboliche del cervello in aree selettive) e l’analisi di altri marcatori quale l’indagine del liquor cerebrospinale.

 

Non solo farmaci, ma anche vita sana

La terapia, nonostante il grande processo di sviluppo diagnostico, a oggi è principalmente orientata a fare fronte ai sintomi della malattia: a ciò è fondamentale associare terapie non farmacologiche anche di tipo psicosociale, oltre alla riabilitazione cognitiva.

Se invece parliamo di iniziale e dubbio declino cognitivo, dobbiamo tenere conto del peso dello stile di vita frenetico che quasi tutti conduciamo, oltre a numerosi vari fattori, fra cui un malessere di tipo emotivo.

«Siamo oberati da un fardello sempre più pesante d’informazioni, ed è facile che un disturbo d’ansia possa prendere il sopravvento, con il risultato di avvertire un disturbo soggettivo di memoria. Chi non ricorda esami e interrogazioni? Poco prima della prova l’ansia fa sì che ci sembri sempre di non ricordare nulla di quanto studiato» ci ricorda la neurologa.

E invece le informazioni sono ancora nella nostra testa, pronte a riemergere appena si riacquista un po’ di tranquillità; poco importa se, a distanza di anni, qualche nozione è andata persa. Per dirla con il poeta Eugenio Montale: «il primo compito di una buona memoria è di saper dimenticare».

Nonostante ciò, alcune sane abitudini possono aiutarci a tenere allenata la mente e attivare la nostra Riserva Cognitiva.

«Il sudoku e i cruciverba vanno benissimo, ma ancor più importante può essere leggere (libri, ma anche riviste, in base alle proprie abitudini); ascoltare buone musica, iniziare lo studio di una lingua o uno strumento, anche in età adulta – evidenzia –. Anche alimentazione e attività fisica ci possono aiutare in questo senso: nel primo caso la scelta migliore è rappresentata dalla dieta mediterranea, ricca di antiossidanti».

 

Amicizie e affetti sono molto utili

Il movimento è importante per mantenere tonica la muscolatura e lavorare su stabilità e coordinazione fra mente e corpo e va calibrato in base alla propria situazione fisica. Una bella passeggiata al parco ascoltando Mozart in cuffia può essere un toccasana migliore di una sfiancante ora in palestra. E non dimentichiamo infine relazioni e amicizie, che servono a mantenere viva la nostra intelligenza sociale… e soprattutto a trascorrere qualche ora di serenità.

 

(articolo pubblicato il 17 maggio 2018 a firma Francesca Solari sul settimanale “Vero”)