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La sfida al tumore si vince insieme

La sfida al tumore si vince insieme. Se fino a un decennio fa la radioterapia era ritenuta una branca «minore» dell’oncologia, oggi non è così. Merito del progresso tecnologico, ma anche di migliori conoscenze oncologiche e radiobiologiche e della diffusione dell’approccio multidisciplinare, che hanno permesso di indirizzare il grande potenziale dell’innovazione tecnologica verso trattamenti sempre più selettivi.

Un percorso in cui anche il paziente è chiamato a collaborare. Ne parliamo con Vittorio Vavassori, responsabile dell’Unità Operativa di Radioterapia di Humanitas Gavazzeni Bergamo.

Dottor Vavassori, com’è cambiata la radioterapia negli ultimi anni?

«Credo che il progresso sia imputabile non solo a un miglioramento tecnologico, ma anche a una revisione delle modalità di erogazione della dose e a una migliore collocazione della radioterapia nella strategia terapeutica delle neoplasie».

Quali novità riguardano i trattamenti?

«Negli ultimi anni, due sono state le linee di tendenza: la prima è l’adozione di protocolli di ipofrazionamento, che consentono di ridurre il tempo di trattamento di alcune neoplasie, prime fra tutte quelle mammarie (da 6 a 4 settimane) e della prostata (da 8 a 4/5 e mezzo). La seconda linea di tendenza riguarda l’adozione di protocolli di radioterapia stereotassica ablativa, in cui convergono tecnologia e radiobiologia. Posto che la sfida della radioterapia è irradiare il bersaglio con la dose efficace, con estrema precisione e minima tossicità, attualmente la tecnica stereotassica consente di raggiungere il migliore risultato utilizzando un numero limitato di sedute».

Quali sono i vantaggi?

«La radioterapia stereotassica ablativa consente di erogare il trattamento con una dose più elevata (parliamo di dose biologicamente efficace) e selettiva rispetto al trattamento convenzionale. Il controllo del respiro attraverso tecniche particolari dette di gating respiratorio e l’uso della 4D-TC permettono di irradiare, ad esempio, piccoli tumori del polmone, facendo della radioterapia un’alternativa alla chirurgia, offrendo una chance terapeutica a pazienti che non sarebbero in grado di tollerare la chirurgia».

Rispetto all’esperienza di Humanitas Gavazzeni, quali sono i tumori maggiormente trattati con radioterapia?

«Il tumore della mammella e il tumore della prostata, anche per l’elevata incidenza e il ruolo della radioterapia nella cura di queste patologie; nella Radioterapia di Humanitas Gavazzeni costituiscono circa il 50% dei casi trattati. Nel tumore del polmone sta aumentando in maniera molto evidente l’incidenza nelle donne».

Se la terapia è sempre più “su misura”, anche il paziente è coinvolto nel percorso?

«La qualità del trattamento dipende da molti particolari. Alla base, la corretta individuazione del bersaglio da irradiare, poi il rispetto dei vincoli di dose agli organi sani e l’adeguata riproducibilità del trattamento nella sua fase esecutiva. Dobbiamo dunque far sì che, durante il trattamento, le condizioni siano il più possibile vicine a quelle della TC di simulazione. Ad esempio, per il tumore alla prostata è fondamentale che il paziente mantenga intestino e retto “puliti”, con poca aria e senza accumuli di scorie, anche attraverso una dieta appropriata e il mantenimento di un alvo regolato».

Un caso che le è rimasto impresso?

«La prima paziente trattata con terapia stereotassica ablativa per neoplasia polmonare 5 anni fa, risoltasi positivamente. Eravamo agli inizi di questo approccio, dovevamo dimostrare di essere in grado di gestire questa tecnica e di essere utili ai pazienti. Un altro caso riguardava una signora che, per un problema di metastasi ossea complicata, non riusciva più a camminare. La donna ha recuperato la funzionalità degli arti, migliorando la sua qualità di vita con un duraturo effetto terapeutico».

 

(articolo pubblicato il 4 marzo 2018 sul sito www.ecodibergamo.it)