Il tumore al seno è una delle patologie oncologiche più diffuse tra le donne, ma anche una delle più studiate e curabili, grazie ai continui progressi raggiunti in ambito di diagnosi e di cura.
Affrontarlo con tempestività, in un contesto specializzato e con un team multidisciplinare, può fare la differenza. La diagnosi precoce, la personalizzazione dei trattamenti e il supporto continuo sono le chiavi per una prognosi sempre più favorevole.
Ne parliamo con il dottor Massimo Grassi, Responsabile della Breast Unit e co-Responsabile della Senologia di Humanitas Gavazzeni, e con il dottor Paolo Arnone, co-Responsabile della Senologia.
Dottor Grassi che cos’è il tumore al seno e quali sono i principali segnali che non devono essere sottovalutati?
«Il tumore al seno è una patologia complessa, che viene causata dalla proliferazione incontrollata di cellule all’interno del tessuto mammario. Queste cellule possono formare un nodulo e, in alcuni casi, diffondersi verso i linfonodi o in direzione di altri organi. I sintomi più comuni del tumore al seno includono la presenza di un nodulo palpabile, retrazione della pelle, alterazioni del capezzolo – come l’inversione, secrezioni o sanguinamento – e cambiamenti della pelle simili alla “buccia d’arancia”. In alcuni casi si possono avvertire gonfiore o dolore localizzato».
Quali sono i principali fattori di rischio?
«Oggi sono a noi noti molti dei fattori che aumentano il rischio di sviluppare un tumore al seno. L’età è uno di questi, così come lo è la familiarità, in particolare la presenza di mutazioni genetiche. Tra i fattori che possono incidere ci sono anche una storia personale di altri tumori, l’obesità, l’esposizione a radiazioni, l’uso prolungato di ormoni, il consumo di alcol e fumo, un menarca precoce o una menopausa tardiva».
Qual è il percorso diagnostico che fa seguito all’individuazione di un sospetto di tumore alla mammella?
«Il primo passo da compiere è sempre quello della visita senologica, nel corso della quale viene valutata la storia clinica della paziente, i fattori di rischio e i segnali fisici presenti. A seguire, vengono eseguiti esami strumentali: in primo luogo la mammografia digitale, oggi spesso arricchita dalla tomosintesi, che aumenta sensibilità e accuratezza, Poi l’ecografia mammaria, e, nei casi più complessi, la risonanza magnetica. Quando necessario, si procede con una biopsia per ottenere un campione che possa essere analizzato istologicamente. Questo esame ci fornisce dati fondamentali sia per il raggiungimento di una diagnosi quanto più precisa possibile, sia per la definizione della strategia terapeutica più adatta».
Dottor Arnone, una volta ricevuta la diagnosi, come si decide il tipo di trattamento da adottare?
«Oggi il trattamento del tumore al seno è personalizzato e nasce da una stretta collaborazione tra diverse figure specialistiche: chirurghi, oncologi, radiologi, patologi, radioterapisti. La scelta della terapia da adottare dipende da vari fattori: le caratteristiche biologiche del tumore, le sue dimensioni, l’eventuale diffusione ad altri organi, oltre naturalmente all’età e alle condizioni generali della paziente».
Qual è il ruolo della chirurgia nel trattamento?
«L’intervento chirurgico è quasi sempre il primo passo. Può essere di tipo conservativo, come nel caso della quadrantectomia, oppure può essere più radicale, con la mastectomia. Anche quest’ultima, oggi, è sempre più rispettosa dell’estetica, grazie a tecniche che permettono di conservare il complesso areola-capezzolo e parte della cute. A questi, si associano interventi sui linfonodi ascellari, come ad esempio il prelievo del linfonodo sentinella o la dissezione completa, se necessario. In molti casi, infine, può essere necessario ricorrere a tecniche oncoplastiche e ricostruttive che consentono di garantire oltre all’efficacia oncologica, anche un buon risultato estetico».
E per quanto riguarda le terapie farmacologiche?
«Dopo l’intervento, si possono valutare eventuali terapie sistemiche: chemioterapia, ormonoterapia o terapie biologiche mirate, come i farmaci anti-HER2, a seconda delle caratteristiche del tumore. In alcuni casi queste terapie vengono somministrate prima dell’intervento, per ridurre la massa tumorale, la cosiddetta terapia neoadiuvante. Dopo la chirurgia, può essere necessaria la radioterapia, per eliminare eventuali cellule residue e per ridurre il rischio di recidive locali».
E dopo la fase attiva del trattamento, che cosa succede?
«C’è la cosiddetta fase di follow-up. Si tratta di un momento delicato ma fondamentale. Le pazienti vengono seguite con controlli clinici e strumentali periodici, al fine di monitorare eventuali recidive o effetti a lungo termine delle terapie. È un percorso di cura che continua nel tempo e che ha come obiettivo la qualità della vita e la serenità della paziente».
Dottor Grassi e dottor Arnone, un’ultima domanda per entrambi: quanto è importante l’approccio multidisciplinare nella cura del tumore alla mammella?
Grassi: «È essenziale. Il lavoro di squadra messo in campo da vari specialisti permette di costruire un percorso costruito su misura per ogni paziente, in cui possa essere valutato ogni aspetto: clinico, biologico, emotivo».
Arnone: «Concordo. Oggi la cura del tumore al seno non è più solo un atto chirurgico o farmacologico, ma un percorso integrato, dove ogni scelta viene condivisa, sempre con l’obiettivo di offrire la cura migliore, personalizzata e rispettosa della persona.

