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Lussazione

Lussazione

 

Il termine lussazione deriva dal latino luxus e significa “andato fuori posto, slogato”. Si parla di lussazione quando, all’interno di una articolazione, i capi articolari si spostano dalla loro posizione fisiologica. La lussazione è  completa quando le superfici dei capi articolari interessati dall’infortunio arrivano a non toccarsi più, mentre si definisce incompleta quando tra le superfici articolari viene mantenuto un rapporto di contatto. Le lussazioni possono essere classificate in base alla loro causa e  possono quindi essere traumatiche, congenite e patologiche.

 

Che cos’è la lussazione?

La lussazione può interessare tutte le articolazioni, ma quelle più frequentemente interessate sono la spalla e le dita, seguite da gomito, ginocchia e fianchi.

 

Quali sono le cause della lussazione?

Le lussazioni più frequenti sono quelle causate da traumi. L’origine del trauma può essere dovuta a:

pratica sportiva: contatto fisico (durante l’esecuzione di sport come calcio, rugby e pallacanestro), cadute (durante la pratica di sport come pallavolo, sci, ginnastica). Le lussazioni alle dita sono molto frequenti soprattutto in sport come pallavolo e pallacanestro.

incidenti: cadute in bicicletta e moto o incidenti automobilistici possono provocare questo tipo di infortunio

Le lussazioni congenite generalmente sono causate da malformazioni dei capi articolari che si manifestano nei bambini alla nascita o in epoca neonatale (la più conosciuta è la lussazione congenita dell’anca).

Le lussazioni patologiche comprendono invece tutte le forme di alterazioni dei rapporti articolari causate da altre patologie.

 

Quali sono i sintomi della lussazione?

Un’articolazione lussata generalmente è caratterizzata dalla seguente sintomatologia:

-è visibilmente deformata

-appare gonfia e calda

-provoca dolore intenso

 

Come prevenire la lussazione?

Alcuni consigli per prevenire una lussazione sono:

-fare sport in modo sicuro, indossando il giusto equipaggiamento protettivo soprattutto nel caso degli sport da contatto

-evitare il ripetersi della lussazione: una volta che l’articolazione si è lussata, può risultare maggiormente suscettibile a lussazioni future. È importante, per evitare il ripetersi dell’infortunio e potenziare l’articolazione, svolgere gli appositi esercizi di resistenza e stabilità consigliati dal fisiatra o dal fisioterapista.

Lussazione della spalla

Lussazione della spalla

 

La lussazione della spalla si verifica quando la testa dell’omero non si trova più a contatto con la cavità glenoidea (il punto in cui si articola con la scapola).

 

Che cos’è la lussazione della spalla?

La lussazione della spalla può essere anteriore (più comune) oppure posteriore. Si tratta di una situazione piuttosto dolorosa che limita in parte o del tutto i movimenti.

 

Quali sono le cause della lussazione della spalla?

La lussazione della spalla avviene in conseguenza di un evento traumatico o, molto più raramente, di una patologia degenerativa. In ogni caso, si tratta di una condizione che tende a ripresentarsi sempre più frequentemente, in quanto le strutture deputate alla stabilità della spalla (capsula e legamenti) tendono a rompersi e/o allungarsi progressivamente in seguito agli episodi di lussazione.

 

Quali sono i sintomi della lussazione alla spalla?

La lussazione della spalla è un infortunio piuttosto doloroso ed è facilmente riconoscibile dal fatto che la spalla è molto dolorante ed è impossibile per il paziente l’esecuzione di alcun movimento. Inoltre, la testa dell’omero si può riconoscere alla palpazione come “scivolata” sotto l’ascella (lussazione anteriore) o dietro di essa (lussazione posteriore).

La lussazione della spalla può comportare alcune complicazioni vascolari e a livello di nervi. Per questo motivo è bene, in caso di lussazione, farsi visitare tempestivamente da un medico, muovere l’articolazione il meno possibile e applicare ghiaccio per ridurre la componente infiammatoria presente.

 

Esistono dei fattori di rischio per la lussazione della spalla?

Alcuni tipi di attività sportiva sollecitano particolarmente l’articolazione fra scapola e omero o la espongono a una maggiore probabilità di eventi traumatici. Anche le cadute e gli incidenti stradali sono fra le cause più comuni di lussazione della spalla. Infine, alcune persone nascono naturalmente con tendini e strutture capsulo-legamentose meno rigide, che li predispongono alle lussazioni.

 

In che modo si può prevenire la lussazione della spalla?

L’unico modo per diminuire le possibilità di incorrere in una lussazione della spalla è fare attenzione alle cadute e cercare di indossare adeguate protezioni se si praticano sport di contatto o attività lavorative che comportano questo rischio.

 

Diagnosi

Una lussazione della spalla è normalmente facile da riscontrare attraverso l’esame fisico del paziente. Talvolta, il medico prescrive una radiografia o una risonanza magnetica di controllo per escludere la presenza contemporanea di fratture o lacerazioni tendinee.

 

Trattamenti

La riduzione della lussazione è una procedura standard nella quale il medico cerca di riportare la testa dell’omero nella sua posizione normale, a contatto con la cavità glenoidea. Questa procedura può essere effettuata in anestesia ed è meglio ridurre la lussazione il prima possibile per ridurre i danni che il dislocamento comporta a strutture vascolari e nervose.

A seconda dell’intensità del dolore (che di norma migliora dopo la riduzione) il medico prescrive una terapia conservativa con farmaci antidolorifici per rilassare i muscoli e l’immobilizzazione dell’articolazione, per permettere un’eventuale guarigione delle strutture lesionate.

Dopo un periodo di immobilizzazione con un tutore si procede con un percorso di riabilitazione per ottenere un recupero articolare completo e un successivo rinforzo delle strutture muscolari che coadiuvano la stabilità della spalla.

Nel caso di persistenza dell’instabilità articolare con episodi sempre più frequenti di lussazione va presa in considerazione la possibilità di sottoporsi a un intervento chirurgico per “stabilizzare” l’articolazione.

L’intervento può essere eseguito in artroscopia se il danno è limitato alle “parti molli”: capsula e legamenti o a “cielo aperto” se al danno capsulo-legamentoso fosse associato un deficit osseo o omerale o scapolare.

 

In entrambi i casi al gesto chirurgico va seguito un lungo periodo riabilitativo composto di:

Prima fase: immobilizzazione del braccio per circa 4 settimane, per permettere al tessuto muscolare di ripararsi.

Seconda fase: fisioterapia assistita, per recuperare il movimento dell’articolazione (circa 4-8 settimane).

Terza fase: rinforzo della muscolatura attraverso l’esercizio fisico assistito e no (circa 8 settimane).

 

Visita ortopedica al piede

Visita ortopedica al piede

 

La visita ortopedica del piede è una visita specialistica condotta da un medico ortopedico per verificare la presenza di eventuali problematiche a carico di questa parte dello scheletro.

 

 

A cosa serve la visita ortopedica del piede?

 

La visita ortopedica del piede permette di diagnosticare problematiche come il piede piatto, la fascite plantare, la spina calcaneare, l’alluce valgo e l’alluce rigido, la distorsione dell’articolazione dell’alluce, il neuroma di Morton e deformità delle dita.

Grazie alla visita specialistica è possibile avere una diagnosi certa del problema e identificare la terapia più adatta per recuperare la funzionalità del piede. Per raggiungere questi obiettivi potrebbe essere necessario sottoporsi a indagini diagnostiche specifiche, ad esempio radiografie o Tac, che saranno eventualmente prescritte dal medico al termine della visita.

In altri casi la visita ortopedica potrebbe essere necessaria per monitorare l’evoluzione di problematiche come il piede piatto.

 

 

Come si svolge la visita ortopedica del piede?

 

Durante la visita ortopedica del piede il medico raccoglierà informazioni sul paziente, sul suo stile di vita, sulla sua storia clinica e sui sintomi che lo disturbano. In seguito condurrà un esame obiettivo del piede, osservandolo direttamente o utilizzando strumenti che permettono, ad esempio, di visualizzare la volta del piede.

 

 

Sono previste norme di preparazione?

 

La visita ortopedica del piede non prevede una preparazione specifica. Il paziente è invitato a portare con sé eventuali referti di analisi, ad esempio radiografie, condotte in passato e che potrebbero essere utili alla valutazione della situazione.

Menisco lacerato

Menisco lacerato

 

Il menisco è  un cuscinetto fibrocartilagineo presente tra le due principali ossa dell’arto inferiore, la tibia e il femore. Quando si lacera si genera una lesione nota anche come “rottura del menisco”.

Che cos’è il menisco lacerato?

Il menisco contribuisce a una migliore distribuzione del peso corporeo sul ginocchio, riducendo lo stress sullo strato di cartilagine che ricopre la superficie articolare. Quando si lacera non è più possibile svolgere correttamente queste funzioni.

 

Quali sono le cause del menisco lacerato?

Il menisco può lacerarsi per diversi motivi:

-a causa di un trauma: è la causa più frequente, soprattutto tra gli sportivi. Il menisco si può lacerare improvvisamente quando, ad esempio, ci si ferma bruscamente mentre si corre e si cambia improvvisamente direzione

-a causa dell’usura dell’articolazione dovuta al passare del tempo (a partire dai 40 anni di vita, di solito)

-a causa di altre condizioni mediche come l’artrite degenerativa (patologia degenerativa delle articolazioni)

 

Quali sono i sintomi del menisco lacerato?

La lacerazione del menisco dovuta alla normale usura articolare generalmente non provoca dolore. Se la lacerazione, invece, avviene improvvisamente, è accompagnata da una sintomatologia che può comprendere:

-dolore, spesso intenso, soprattutto quando il ginocchio è in torsione o in rotazione

-gonfiore o rigidità a carico del ginocchio

-difficoltà a stendere il ginocchio (parte del menisco lacerato può inserirsi all’interno dell’articolazione, impedendo al ginocchio di stendersi)

-presenza di raccolta di liquido all’interno del ginocchio

 

Come prevenire la lesione del menisco?

Contro la lacerazione del menisco dovuta al passare degli anni o all’artrite degenerativa non si può fare, purtroppo, nulla.

Diversi, invece, sono gli accorgimenti che possono essere messi in pratica per evitare la lacerazione traumatica di questa struttura fibrocartilaginea:

-evitare tutti i traumi che possono causarne l’insorgenza (attenzione anche a dove si mettono i piedi quando si scende dalla macchina o dall’autobus)

-effettuare appositi esercizi per rafforzare i muscoli delle gambe per contribuire a stabilizzare e proteggere le articolazioni del ginocchio

In caso di svolgimento di attività sportiva:

-effettuare sempre un appropriato riscaldamento prima di aumentare l’intensità dello sforzo fisico

-assicurarsi sempre di indossare il giusto equipaggiamento (la corretta tipologia di vestiario, di calzature ed eventuali protezioni necessarie)

-evitare movimenti bruschi

Piede cavo

Piede cavo

 

Il piede cavo è una malformazione congenita o acquisita che consiste in una eccessiva accentuazione dell’altezza dell’arcata plantare. Nello specifico il piede poggia a terra sono sulla dita e sul calcagno. Questo può condurre a deformità del piede o a una scorretta configurazione ossea.

Un segno tipico sono le griffe digitali, vale a dire dita eccessivamente flesse. È più frequente nel sesso femminile, soprattutto in quelle forme acquisite legate all’uso di calzature che a lungo andare modificano la forma del piede.

 

Che cos’è il piede cavo?

Il piede cavo è una patologia più frequente nelle donne e più diffusa del piede piatto.  Viene classificato in diversi modi, a seconda della causa, del tipo di deformità del piede e dal grado accentuazione dell’arco plantare.

 

Quali sono le cause del piede cavo?

La causa del piede cavo congenito è la familiarità, vale a dire una predisposizione genetica che accomuna altri familiari e che può essere legata a uno sviluppo imperfetto (displasia) dell’articolazione.

Il piede cavo acquisito e cosiddetto essenziale è provocato da cause non patologiche come calzature troppo corte o tacchi troppo alti che possono piegare a uncino le dita e incavare in modo esagerato l’arco plantare. Anche alcune attività sportive possono comportare l’accentuazione eccessiva dell’arco plantare.

Il piede cavo neurologico è legato a patologie neurologiche (paralisi poliomielitica, paralisi spastica, nella malattia di Friedreich, malattia di Charcot-Tooth) che provocano la paralisi del muscolo.

Il piede cavo secondario deriva da processi patologici, come l’artrite reumatoide, esiti chirurgici o altri danni ai muscoli e ai tessuti del piede.

 

Quali sono i sintomi del piede cavo?

Il segno del piede cavo è un arco plantare accentuato che condiziona la deambulazione della persona. Altri sintomi sono l’ arrossamento e ispessimento della cute nella parte esterna del piede, che diventa dura e callosa. La persona sperimenta difficoltà a camminare. Tale condizione  nel caso dello sviluppo e dell’accrescimento del bambino, va costantemente monitorata perché può comportare una tendenza a: ginocchio valgo, rigidità delle anche, accentuazione della curva lombare e mal di schiena frequenti.

 

Come prevenire il piede cavo?

La prevenzione delle forme acquisite del piede cavo si ottiene facendo attenzione, soprattutto nel caso delle donne, a scegliere calzature appropriate ( non troppo corte o con tacchi troppo alti) per evitare che a lungo andare possano modificare la forma dell’arcata plantare.

Piede piatto

Piede piatto

 

In una situazione fisiologica la pianta del piede non tocca il terreno quando si è in posizione eretta. In caso di appiattimento della volta plantare si parla di piede piatto.

Dai 10 mesi di vita fino ai 3-4 anni di età questa situazione è del tutto fisiologica e rientra nella normale crescita del piede (piede piatto fisiologico), ed è portata a correggersi spontaneamente entro i 6-7 anni di età. Anche quando la presenza dei piedi piatti permane senza regredire autonomamente la condizione è, la maggior parte delle volte, indolore. I piedi piatti possono contribuire all’insorgenza di problemi a caviglie e ginocchia perché la presenza di questa condizione può alterare l’allineamento delle gambe.

 

Quali sono le cause del piede piatto?

La presenza del piede piatto nei bambini è del tutto normale e in alcune persone questa conformazione del piede tipica dell’infanzia non regredisce, permanendo anche in età adulta. Nonostante questa condizione non desti importanti problematiche, i bambini che ne sono affetti hanno maggiori possibilità di soffrire da adulti di patologie secondarie come l’artrosi della caviglia e l’alluce valgo. Per questo motivo il trattamento  è soprattutto preventivo. Alcuni fattori possono influire sulla possibilità di sviluppare il piede piatto anche in età adulta: obesità, lesioni traumatiche al piede o alla caviglia; artrite reumatoide; invecchiamento.

 

Quali sono i sintomi del piede piatto?

La maggior parte delle persone non ha alcun sintomo associato alla presenza del piede piatto. In alcuni casi, soprattutto nei soggetti con valgo-pronazione del calcagno, possono esservi dolore in particolare nella zona del tallone o della volta plantare e gonfiore nella parte interna della caviglia.

 

Come prevenire il piede piatto?

Per prevenire la formazione del piede piatto in età adulta è bene evitare le condizioni che possano predisporre al suo sviluppo. Se nulla si può fare riguardo alcuni fattori di rischio – come l’artrite reumatoide e l’invecchiamento – è possibile invece attuare delle strategie preventive per evitare l’insorgenza di condizioni come il sovrappeso e l’obesità e le lesioni traumatiche al piede o alla caviglia che favoriscono la comparsa di questo disturbo.

 

Diagnosi

Per effettuare la diagnosi il medico, dopo aver osservato i piedi del paziente, chiederà di effettuare dei movimenti (come mettersi sulle punte dei piedi) per esaminare la meccanica dei piedi.

Nel caso il paziente lamenti dolore, il medico può consigliare al paziente di sottoporsi a:

-radiografia: per visualizzare le ossa e le articolazioni dei piedi.

-TAC: in grado di visualizzare le ossa e l’articolazione del piede da diverse angolazioni, fornendo maggiori dettagli rispetto a una normale radiografia.

-ecografia: questo esame, in grado di fornire immagini dei tessuti molli, può essere effettuato nel caso in cui il medico sospetti la presenza di una lesione tendinea.

-risonanza magnetica: in grado di fornire immagini dettagliate sia dei tessuti duri (come le ossa) sia dei tessuti molli (come tendini e vasi sanguigni).

 

Trattamenti

In presenza di un accentuato piattismo dei piedi, già a partire dai 3 o 4 anni di età è bene mettere in atto una serie di provvedimenti – del tutto non invasivi – mirati a favorire la maturazione della volta plantare. Tra questi:

-l’uso di un plantare

-il rinforzo muscolare mediante esercizi e sport adatti.

In entrambi i casi è bene farsi consigliare dal medico, evitando il “fai-da-te”.

 

Se entro gli 8-9 anni non si raggiunge un miglioramento della volta plantare possono essere consigliati, nei casi di piattismo più importanti, interventi chirurgici correttivi da eseguire tra i 9 e i 14 anni. Diverse sono le procedure chirurgiche utilizzate a questo scopo: le più diffuse sono l’endortesi e il calcagno-stop, entrambe mirate a correggere la pronazione del calcagno e a far risalire la volta plantare.

Rottura del tendine d’Achille

Rottura del tendine d’Achille

 

Il tendine d’Achille è responsabile di molti dei movimenti che avvengono a livello del piede e della gamba. Anatomicamente collega i muscoli del polpaccio al calcagno. Sebbene sia un tendine molto resistente, se sottoposto a eccessivo sforzo può lacerarsi e arrivare a rompersi. La rottura del tendine di Achille può essere parziale o totale.

 

Che cos’è la rottura del tendine d’Achille?

Questo tipo di infortunio, tanto più doloroso quanto maggiormente è estesa la rottura, si verifica più comunemente nei soggetti che praticano sport. L’approccio chirurgico è spesso la migliore opzione di trattamento per riparare una rottura del tendine d’Achille. Gli uomini corrono un rischio fino a 5 volte maggiore di incorrere in questo infortunio rispetto alle donne e la fascia di età più colpita è quella tra i 30 e i 40 anni.

 

Quali sono le cause della rottura del tendine d’Achille?

La rottura di questo tendine – che può essere parziale o totale – è più frequente entro i primi 5-6 centimetri dal punto dove il tendine si attacca al calcagno. Questo tipo di lesione viene quasi sempre provocata da un improvviso aumento della quantità di stress sul tendine di Achille. Ciò accade soprattutto a causa di traumi o infortuni (quando, ad esempio, si cade o si infila il piede in una buca). Spesso la rottura del tendine di Achille riguarda soggetti che praticano sport: aumentare eccessivamente l’intensità dell’attività sportiva è infatti una delle cause più frequenti che porta alla rottura di questo tendine. Le lesioni del tendine di Achille si verificano più spesso negli sport caratterizzati da corse, salti e scatti (come calcio, basket e tennis).

 

Quali sono i sintomi della rottura del tendine d’Achille?

Quando si verifica la rottura del tendine molte persone riferiscono di sentire un rumore di schiocco, simile a una frustata. Solitamente la sintomatologia che accompagna questo infortunio comprende:

-dolore, anche molto intenso, nella zona del tallone

-gonfiore intorno al tallone

-incapacità di piegare il piede infortunato verso il basso

-incapacità di alzarsi sulla punta del piede infortunato

 

Come prevenire la rottura del tendine d’Achille?

Per ridurre le probabilità di lacerazione del tendine d’Achille è consigliabile:

-effettuare esercizi volti ad allungare e rinforzare i muscoli del polpaccio e il tendine di Achille.

-variare il tipo di attività sportiva svolta, alternando sport ad alto impatto, come la corsa, con sport a basso impatto come camminare, andare in bicicletta o nuotare.

-evitare o limitare l’esecuzione di esercizi su superfici dure e scivolose.

-indossare calzature adeguate all’attività fisica che si sta svolgendo.

-aumentare l’intensità dello sforzo fisico gradualmente: molte delle lesioni al tendine di Achille si verificano proprio quando si aumenta bruscamente l’intensità (durata e/o frequenza) degli allenamenti.

 

Diagnosi

Per diagnosticare la rottura del tendine di Achille è spesso sufficiente sottoporsi a una visita ortopedica: il medico specialista sarà infatti in grado, attraverso opportune manovre, di effettuare la diagnosi.

Per rilevare l’entità del danno a carico del tendine, e stabilire se la rottura è totale o parziale, il medico può richiedere l’esecuzione di una risonanza magnetica.

 

Trattamenti

Il trattamento per la rottura del tendine d’Achille dipende dalla gravità della lesione, dall’età del soggetto colpito dall’infortunio e dal livello di attività fisica svolta abitualmente. In generale, nel caso di rottura completa, le persone più giovani e attive spesso optano per l’intervento chirurgico attraverso cui il tendine lacerato viene ricucito. In caso, invece, di rottura parziale, può essere utilizzato un gesso (o un tutore) comprensivo di sostegni per tenere il tallone sollevato (per mantenere, cioè, il piede in posizione equina) al fine di favorire la rimarginazione del tendine lacerato.

Dopo qualsiasi trattamento è necessario sottoporsi a un programma di fisioterapia per rinforzare i muscoli delle gambe e lo stesso tendine di Achille. Per tornare alla normale attività quotidiana e sportiva solitamente sono necessari 4-6 mesi.

 

Rottura della cuffia dei rotatori

Rottura della cuffia dei rotatori

 

La cuffia dei rotatori è il complesso dei quattro muscoli (con i rispettivi tendini) che concorre al movimento dell’articolazione della spalla nei vari piani dello spazio e che tiene stabile l’articolazione fra la scapola e l’omero (l’osso che appartiene alla parte superiore del braccio).

 

Che cos’è la rottura della cuffia dei rotatori?

La “lesione” della cuffia dei rotatori è la rottura parziale o completa di uno (o più) fra i tendini che la costituiscono.

È una condizione molto comune soprattutto nel paziente anziano. La rottura può essere sia parziale che completa e genera sia dolore che limitazioni funzionali.

 

Quali sono le cause della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori può avvenire sia per un evento traumatico, come risultato di un movimento errato, di un eccessivo carico o di un impatto, sia per via degenerativa, più lentamente, a causa di continui stress dell’articolazione o come frutto della degenerazione indotta dall’invecchiamento.

Più frequentemente è un insieme di questi due elementi che portano alla rottura tendinea: a causa di fenomeni degenerativi inizia un fenomeno di “assottigliamento” del tendine che può poi evolvere sia spontaneamente che in seguito a traumi o sforzi anche banali in una rottura completa.

 

Quali sono i sintomi della rottura della cuffia dei rotatori?

La rottura della cuffia dei rotatori è solitamente caratterizzata da dolore nella parte anteriore della spalla, specialmente se la causa della rottura è di natura traumatica. Il paziente prova dolore specialmente quando compie movimenti come alzare il gomito sopra la spalla o appoggiarlo a una superficie come il bracciolo di una poltrona o la superficie di un tavolo o di una scrivania.

Quando la rottura deriva invece da una condizione cronica, il dolore si manifesta con intensità variabile nel tempo ed è spesso presente nelle ore notturne. È inoltre spesso accompagnato da una maggiore difficoltà nel compiere movimenti, che hanno un raggio più limitato, e dall’impossibilità di sollevare pesi anche modesti.

 

Quali sono i fattori di rischio per la rottura della cuffia dei rotatori?

Nei casi di rottura tendinea traumatica vanno considerati fattori di rischio tutte le attività sia sportive che lavorative che hanno una alta incidenza di traumatismi a carico della spalla (rugby, calcio, sci, motocross ecc).

Nel caso di lesioni degenerative esistono fattori di rischio legati all’età, a patologie metaboliche (come il diabete), ad abitudini di vita (come il fumo) per cui si genera una diminuzione della vascolarizzazione del tendine che quindi si indebolisce e che lo predispone alla rottura.

La rottura può tuttavia derivare anche dallo svolgimento di un lavoro che sollecita l’articolazione in modo continuo o da una predisposizione personale, dovuta alla naturale conformazione dell’articolazione.

 

Come si previene la rottura della cuffia dei rotatori?

Non è possibile prevenire la lacerazione della cuffia dei rotatori ma è facile diminuire le possibilità di una lacerazione traumatica o da degenerazione attraverso i seguenti accorgimenti:

-esercitare regolarmente la spalla per mantenere flessibilità e forza della muscolatura.

-fare attenzione agli sforzi che riguardano l’articolazione fra spalla e omero.

-riposo quando l’articolazione duole o è infiammata.

-non esitare a sottoporsi a un controllo specialistico in caso di persistenza della sintomatologia.

 

Diagnosi

La rottura della cuffia dei rotatori si diagnostica solitamente attraverso l’esame fisico, seguito per conferma da una risonanza magnetica.

La radiografia, invece, sebbene non evidenzi la rottura, può essere utilizzata per rendere visibili eventuali alterazioni a carico delle componenti scheletriche.

 

Trattamenti

Spesso l’opzione chirurgica non è la prima scelta per il trattamento della rottura della cuffia dei rotatori in quanto è possibile avere un beneficio della sintomatologia anche con trattamenti riabilitativi.

L’approccio chirurgico viene spesso considerato come prima opzione solo in casi di rottura totale in pazienti giovani, quando c’è il rischio che possa portare ad un’alterazione nella conformazione dell’articolazione stessa.

 

Terapia non chirurgica

L’approccio non chirurgico consiste in diversi fasi indirizzate alla riduzione della sintomatologia.

Può essere benefico un periodo di riposo eliminando fattori di stress per la spalla (sia sportivi che lavorativi) coadiuvati da una terapia farmacologica mirata a ridurre sia il dolore che l’infiammazione derivante dalla rottura tendinea.

A ciò si può aggiungere un programma riabilitativo basato su terapie fisiche e fisioterapia per ridurre la componente infiammatoria e cercare di ottenere un recupero funzionale.

A seconda dei risultati della terapia fisica e degli esiti dei controlli successivi, lo specialista può decidere se continuare con la terapia non chirurgica od optare per un intervento di tipo chirurgico.

 

Terapia chirurgica

Quando vi sia l’indicazione per un approccio di tipo chirurgico, per via dell’esito negativo delle terapie non chirurgiche (solitamente non valutabile prima di 8-12 settimane) o per altri fattori, lo specialista può decidere di operare.

L’approccio artroscopico è in questo caso quello più utilizzato: in regime di day surgery, in anestesia loco reginale e attraverso 3 piccoli “buchini” attraverso la pelle si procede alla visualizzazione diretta della lesione e alla sua riparazione.

La chirurgia si è dimostrata efficace nella terapia per la rottura della cuffia dei rotatori, sebbene possa accadere che la patologia si ripresenti con ricorrenza nell’arco della vita del medesimo individuo. In casi molto severi è possibile infine procedere alla sostituzione di una parte o dell’intera articolazione della spalla con una protesi.

Dopo la terapia chirurgica, qualsiasi sia l’approccio adottato, è necessaria una procedura di riabilitazione, divisa solitamente in tre fasi:

Prima fase: immobilizzazione del braccio per circa 4 settimane, per permettere al tessuto muscolare di ripararsi.

Seconda fase: fisioterapia assistita, per recuperare il movimento dell’articolazione (circa 4-8 settimane).

Terza fase: rinforzo della muscolatura attraverso l’esercizio fisico assistito e non (circa 8 settimane).

 

Slogatura

Slogatura

 

Questo infortunio è anche detto lussazione, tuttavia il termine “slogatura” risulta comunemente molto più utilizzato. Consiste in uno spostamento permanente dei campi articolari gli uni rispetto agli altri.

Che cos’è la slogatura?

La slogatura è una lesione articolare che può interessare tutte le articolazioni. Quelle più frequentemente interessate sono la spalla e le dita, seguite da gomito, ginocchia e fianchi.

 

Quali sono le cause della slogatura?

Le slogature sono in genere causate da traumi. In particolare si può incorrere in una slogatura nel caso di:

-incidenti:  se si cade dalla moto, dalla bicicletta o in caso di incidenti automobilistici, ma anche se si inciampa o si cade mentre si corre o si cammina

-pratica di attività sportiva. In questo caso le slogature sono piuttosto frequenti. Possono essere determinate da cadute di vario tipo (soprattutto sport come pallavolo, sci, ginnastica) o dal contatto fisico (soprattutto sport come calcio, rugby e pallacanestro)

 

Quali sono i sintomi della slogatura?

Una slogatura è generalmente accompagnata dalla seguente sintomatologia:

-si avverte dolore intenso nella zona dell’infortunio

-l’articolazione può risultare deformata

-l’articolazione appare gonfia e calda

 

Come prevenire la slogatura?

Per prevenire le slogature è bene:

-fare sport in modo sicuro, indossando il giusto equipaggiamento protettivo soprattutto nel caso degli sport da contatto

-evitare il ripetersi della slogatura: dopo essersi slogata, l’articolazione risulta generalmente maggiormente suscettibile a slogature future. Per evitare il ripetersi dell’infortunio e potenziare l’articolazione è bene svolgere gli esercizi consigliati dal fisiatra o dal fisioterapista

Tendinite del piede

Tendinite del piede

 

La tendinite è una delle cause più comuni di dolore al piede e alla caviglia. Nello specifico si tratta di  un’infiammazione che colpisce il tendine, una struttura forte e resistente fatta di tessuto fibroso e simile a una corda. Serve ad ancorare saldamente il muscolo all’osso e permette il movimento dell’articolazione.

 

Che cos’è la tendinite del piede?

Le tendiniti del piede sono infiammazioni molto comuni, in aumento negli ultimi anni soprattutto per una maggiore frequenza della pratica sportiva fin dalla giovane età e per l’uso di calzature spesso inappropriate suggerite dalla moda.

I tipi più comuni di tendiniti sono:

-tendinopatia achillea: il tendine calcaneare o tendine d’Achille è il tendine che collega i muscoli del polpaccio alla parte posteriore del tallone. È il tendine più largo e forte del corpo. L’infiammazione è un evento frequente durante la corsa e non a caso si parla di tendinite del podista

-tendinite del tibiale posteriore: si tratta di una tendinite solitamente associata con il piede piatto. Il tendine del muscolo tibiale posteriore si inserisce tra la parte interna della caviglia e il collo del piede

-tendinite dei tendini dei flessori: si manifesta con dolore nella parte posteriore della caviglia sul lato dell’alluce. Questa tendinite è tipica dei ballerini per via della posizione in equilibrio sulle punte richiesta dall’attività

-tendinite dei tendini estensori delle dita: colpisce la parte superiore del piede ed è solitamente causata dallo sfregamento del piede contro la scarpa o da condizioni infiammatorie come l’artrite reumatoide

 

Quali sono le cause della tendinite al piede?

Le cause della tendinite ai piedi possono possono essere diverse:

-infortuni

-traumi

-usura

-movimenti ripetitivi durante lo sport

-calzature inappropriate

-sfregamento contro speroni ossei

-malattie metaboliche

La causa più frequente delle tendinite è un sovraccarico funzionale del tendine sottoposto a un’attività eccessiva come avviene nella corsa o in altre attività sportive.

Altre cause sono:

-Infortunio al piede o alla caviglia a causa di  un movimento brusco come saltare o atterrare sul suolo da un punto alto

-una struttura del piede anomala. Problematiche come i piedi piatti o il piede cavo possono creare squilibri muscolari che influenzano la stabilità di uno o più tendini

-patologie sistemiche come l’artrite reumatoide, la gotta o le spondiloartropatie

 

Quali sono i sintomi della tendinite al piede?

I sintomi di una tendinite includono dolore e talvolta gonfiore nell’area soggetta a infiammazione. I sintomi possono manifestarsi a riposo e più di frequente durante il movimento. Altri sintomi sono la debolezza e il dolore quando si appoggia o si ruota il piede e quando si cammina.

 

Come prevenire la tendinite del piede?

La prevenzione delle tendiniti si ottiene limitando sforzi ripetitivi e usuranti, ricordandosi di effettuare esercizi di stretching dolce prima dell’attività sportiva, scegliendo con cura calzature adatte e sottoponendosi a controlli ortopedici per identificare eventuali anomalie del piede.

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