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Tumore al seno: racconti e fotografie aiutano le pazienti

Lo studio dell’Università Cattolica di Milano e Humanitas. Il racconto della malattia può sostenere la cura. I ricercatori del Cremit hanno valutato le diverse forme narrative di “Sorrisi in Rosa”, progetto di tutte le strutture Humanitas (da Bergamo a Catania) dedicato alla prevenzione e sensibilizzazione del tumore del seno. Focus sui linguaggi con cui le pazienti raccontano la malattia e il processo di guarigione. I risultati indicano che foto e parole sono in grado di aiutare ad affrontare il percorso di cura con maggiore speranza e forza.

Sensibilizzare sul tema della prevenzione a partire dall’esperienza di donne protagoniste di storie di malattia e rinascita. È l’obiettivo del progetto “Sorrisi in Rosa” di Humanitas che ha commissionato a Cremit, Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Innovazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica, una misurazione degli effetti della narrazione – con foto e racconti – sui percorsi di cura delle donne.

Lunedì 8 maggio, a Milano nella sede dell’Università Cattolica, i due partner hanno presentato i primi risultati della ricerca durante il convegno “Raccontare la malattia per sostenere la cura. Rileggere la prevenzione in chiave digitale” cui hanno partecipato, tra gli altri, Rosanna D’Antona, Presidente Europa Donna Italia, e Gerry Scotti, testimonial delle campagne di salute della donna di Humanitas.

Il progetto “Sorrisi in Rosa”

Il progetto di prevenzione senologica “Sorrisi in Rosa” è nato sette anni fa da un’idea dei senologi di Humanitas in collaborazione con la fotografa Luisa Morniroli e la scrittrice Cristina Barberis Negra, entrambe ex pazienti, e oggi coinvolge oltre 100 donne da Torino a Catania, da Milano a Bergamo e Varese. Sono loro le protagoniste della mostra fotografica “Sorrisi in Rosa” che veste le sale d’attesa di tutti gli ospedali e dei centri medici Humanitas italiani, e ora inaugurata anche nell’atrio dell’aula Pio XI in Università Cattolica. Alle foto si aggiungono racconti sul sito, un libro (Sorrisi in Fiore), podcast ed eventi di prevenzione, in collaborazione con Fondazione Humanitas per la Ricerca.

Alla mostra fotografica Cremit ha associato un QR code che porta a un questionario anonimo, con una trentina di domande personalizzate a seconda delle prime risposte che hanno suddiviso le partecipanti in donne già testimonial dell’iniziativa, pazienti inserite in un percorso di cura o di diagnosi/prevenzione, accompagnatori e familiari.

“Sono figlio di una generazione, quella del dopoguerra – ha detto Gerry Scotti durante la presentazione dello studio – in cui le donne non parlavano della malattia per vergogna, nemmeno in famiglia. Quella generazione ha patito il tenersi dentro di sé questa condizione. Oggi siamo qui per raccontare la malattia per sostenere la cura: raccontandosi, le donne di “Sorrisi in Rosa” hanno aiutato chi fa Ricerca e migliora la clinica e la chirurgia. E raccontandosi con il sorriso sulle labbra aiutano altre donne a guarire”.

Lo studio Cremit

Da ottobre a dicembre 2022 sono stati raccolti oltre 400 questionari (i cui rispondenti sono per il 68% pazienti, per il 23% testimonial e per il 9% caregiver). L’evidenza principale emersa è che “Sorrisi in Rosa” è in grado di accompagnare le donne che diventano testimoni dalla diagnosi alla conclusione delle cure attive.

Dalla ricerca curata da Cremit con la supervisione della coordinatrice Simona Ferrari, docente di Didattica generale in Università Cattolica, si evince che le donne hanno definito l’esperienza della malattia e della cura vissute con tre parole: forza, coraggio e positività.

In particolare, le forme narrative più apprezzate dalle pazienti sono le fotografie (26% e il sito (12,5%). Inoltre, la maggior parte delle donne ha dichiarato che queste forme narrative hanno dato loro fiducia (4,57 su un punteggio di 6), che è possibile riuscire a superare tutto (4,49 su 6), che si sono sentite meno sole (4,43 su 6), che hanno sentito di avere speranza (4,47 su 6).

Le testimonial del progetto che si sono raccontate l’hanno fatto per incoraggiare le donne a partecipare allo screening (23%), far vedere che è possibile riuscire a superare la malattia (17%), contribuire alle azioni di prevenzione (17%) o portare il proprio punto di vista sull’esperienza di cura (10%). Per queste donne raccontare la propria storia è stato un modo per far emergere le emozioni (4,46 su 6), elaborare le emozioni (4,41 su 6) o condividere i ricordi(4,26 su 6).

“La richiesta di Humanitas di valutare il progetto “Sorrisi in rosa”, è stata un’occasione per misurare l’impatto della narrazione e i suoi linguaggi durante il percorso di accompagnamento delle donne in cura o in screening del tumore al seno – ha dichiarato Simona Ferrari, coordinatrice della ricerca -. In un momento di crisi in cui l’imprevisto porta nella vita di una donna, fragilità e impotenza, la narrazione entra in scena come un elemento in grado di aiutare l’individuo a definirsi come soggettività dotata di scopi e intenzionalità, organizzare l’esperienza, rielaborarla e modificarla e condividerla. Grazie a un approccio incentrato sulla paziente le donne riescono e a raccontare, dando così un senso alla malattia, incoraggiare e sostenere gli altri mettendo a disposizione la propria storia”.

La cura a 360° in Humanitas Gavazzeni

“La nostra Breast Unit pone l’attenzione alla donna in ogni aspetto della sua cura: un modello di assistenza specializzato che garantisce il meglio delle terapie grazie ad un team di persone con diverse competenze che si occupano della paziente. Dal senologo al radiologo fino al chirurgo plastico, senza mai dimenticarsi del supporto psicologico che non deve mai mancare per portare i massimi benefici. Un processo a 360° per la miglior cura delle donne.  É anche un dato certo che una paziente trattata in un ambiente specialistico come la Breast Unit abbia un risultato e una sopravvivenza migliore, sia in termini quantitativi che qualitativi perché è possibile garantire il meglio delle cure avendo un team di persone che si occupano della paziente: è dimostrato che quando un tumore al seno viene curato all’interno di una Breast Unit c’è una riduzione del 18% della mortalità a 5 anni. Numeri positivi riguardano anche i benefici psicologici che derivano da una migliore qualità della vita delle pazienti, che sentono di essere curate da diversi punti di vista e con un utilizzo più razionale ed efficace delle risorse”, ha dichiarato Massimo Grassi, responsabile Breast Unit e co-direttore dell’Unità di Senologia di Humanitas Gavazzeni.

“Per quanto riguarda la cura, sia da un punto di vista medico, chirurgico che radioterapico, si stanno raggiungendo risultati molto importanti – dichiara Paolo Arnone, co-direttore dell’Unità di Senologia di Humanitas Gavazzeni – Grazie al lavoro fatto in ambito preventivo e diagnostico siamo in grado di offrire trattamenti chirurgici, ma ancor di più medici e radioterapici, sempre più personalizzati e rispettosi del corpo della donna, anche nei casi di mastectomia dove ci viene in aiuto la chirurgia “oncoplastica”: quella branca della chirurgia plastica e ricostruttiva iperspecializzata nella gestione dell’aspetto estetico delle pazienti oncologiche; perché la cura non passa solo dalla gestione del corpo ma, anche, dalla psiche grazie all’immagine corporea che si ha di sé”.

Specialista in Chirurgia Generale
Chirurgia d'Urgenza e Pronto Soccorso