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Radiologia interventistica, quando gli strumenti per la diagnosi aiutano a curare

La radiologia interventistica è quella branca della diagnostica per immagini che consente di intervenire su alcuni mali in modo mininvasivo, con strumenti come aghi, cateteri e fili guida visualizzati su monitor radiologici.

Prelevare un tessuto per analizzarlo, risolvere il malfunzionamento di un organo, trattare un tumore profondo. Procedure assimilabili a piccoli interventi chirurgici ma eseguite attraverso minimi accessi cutanei (0,1-3 mm) all’interno di quella macchina complessa che è il nostro organismo, e che richiedono programmazione, creatività e manualità, supportate da strumentazioni e materiali specifici.

Procedure di diagnosi e terapia che fanno capo alla radiologia interventistica, una branca della diagnostica per immagini sviluppata in ospedali all’avanguardia come Humanitas Gavazzeni, e che si avvale delle immagini di radiologia convenzionale (i raggi X), risonanza magnetica, tomografia computerizzata (TC) ed ecografia.

Ne parliamo con Enzo Angeli, responsabile della Diagnostica per Immagini di Humanitas Gavazzeni.

 

Dottor Angeli, nella Radiologia Interventistica, lo strumento di base è spesso un semplice ago, necessario per prelevare tessuti o accedere ai tessuti profondi…

«L’ago è sicuramente uno degli strumenti medici più antichi. Manovrato opportunamente e sotto la guida in tempo reale delle immagini radiologiche, ci permette di eseguire piccoli interventi come prelevare un campione di tessuto, svuotare una cisti o iniettare un farmaco all’interno di un organo, ma rappresenta anche il primo mezzo per accedere agli organi profondi ed eseguire procedure più complesse come drenare una cavità ascessuale, occludere un’arteria sanguinante, trattare un varicocele. L’ago permette di oltrepassare la barriera cutanea in modo agevole e sicuro, con rischi e disagi ridottissimi per il paziente, in genere ben sveglio e collaborante. Centrale è quindi la precisione del gesto, la capacità del radiologo interventista di manovrare dall’esterno questi strumenti (aghi, cateteri, fili guida, ecc.), visualizzandoli attraverso le immagini dei monitor radiologici. Solitamente quando diciamo a un paziente che dobbiamo “posizionare un ago o un catetere”, notiamo una reazione di spavento; ma sono procedure per lo più poco invasive, perfettamente tollerate se effettuate con precisione, prudenza e professionalità».

 

Le patologie oncologiche sono le principali beneficiarie di questa branca della radiologia.

«Direi di sì. Gli agoaspirati e le agobiopsie con guida ecografica e TC rappresentano quantitativamente il maggior numero di procedure di radiologia interventistica a supporto dell’oncologia. L’agoaspirato consente il prelievo di materiale cellulare (analisi citologica) mentre l’agobiopsia consente il prelievo di parti di tessuto per un’analisi istologica. Le patologie sono soprattutto quelle della tiroide, della mammella, dei linfonodi, ma anche di organi più profondi come fegato, polmone o rene. Si tratta di una diagnostica invasiva agevolmente eseguibile nel 95% dei casi su pazienti ambulatoriali, con una semplice anestesia locale. Raramente (in genere in casi di procedure terapeutiche oncologiche) le procedure vengo eseguite in sedazione e assistenza anestesiologica».

 

La radiologia interventistica offre un rilevante contributo nella gestione del tumore al fegato. Qual è il motivo?

«Esistono patologie tumorali, come la neoplasia primitiva del fegato (epatocarcinoma), dove l’atto chirurgico può rivelarsi inutile o controindicato. Il caso viene valutato collegialmente (per esempio con chirurgo e oncologo) e la decisione terapeutica è condivisa. Di fronte a un tumore in fase iniziale, che non supera i 4-5 centimetri, le tecniche di radiologia interventistica possono fare molto per “distruggere” i tessuti malati del fegato. Di fronte a un piccolo epatocarcinoma è possibile eseguire un breve ciclo di alcolizzazione (iniezione intratumorale di alcool, in regime ambulatoriale), ma ancor più valida è la termoablazione con radiofrequenza effettuata su pazienti ricoverati. Altre tecniche efficaci su noduli epatici multipli o di maggiori dimensioni sono l’embolizzazione con particelle e la chemio embolizzazione».

Articolo pubblicato l’1 novembre 2015 sul quotidiano “Eco di Bergamo”.