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Cuore e prevenzione, un felice connubio

La prevenzione, per quanto riguarda le malattie del cuore, può avere diversi aspetti. Esiste infatti una prevenzione mirata a evitare o allontanare il pericolo di incorrere in patologie cardiovascolari, e ne esiste un’altra, da seguire quando la malattia è già stata diagnosticata e curata, come ci spiega il dottor Bruno Passaretti, cardiologo, responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione di Humanitas Gavazzeni.

Dottor Passaretti, come ci dobbiamo comportare quando scopriamo che il nostro cuore è malato?

«Una volta curato l’episodio acuto (un infarto miocardico acuto, un episodio di scompenso cardiaco, un intervento cardochirurgico ad esempio) dobbiamo pian piano tornare a una vita normale facendo però attenzione a tutti quei comportamenti dannosi per il nostro organismo che, verosimilmente, sono stati responsabili della malattia cardiaca. Questa è una forma di prevenzione particolare, che chiamiamo “prevenzione secondaria” per distinguerla dalla “prevenzione primaria” che è quella che si mette in atto quando non si è mai stati ammalati di cuore.

Prevenzione secondaria vuol dire smettere di fumare, curare in modo aggressivo tutti i fattori di rischio (il diabete, la pressione alta, l’obesità, la sedentarietà, l’ipercolesterolemia, l’iperuricemia…), alimentarsi in modo sano riducendo il più possibile l’apporto di grassi animali e di zuccheri, e condurre uno stile di vita attivo, incrementando l’esercizio fisico non solo frequentando una palestra o facendo attività sportiva, ma anche facendo le scale, andando a piedi o in bicicletta anziché in macchina e così via. Questo stile di vita ci aiuta a non ricadere in ulteriori eventi acuti».

Dopo un intervento al cuore è possibile tornare a una vita normale?

«Sì, è l’obiettivo che dobbiamo porci ed è quasi sempre possibile. La riabilitazione ha proprio lo scopo di riportare la persona che ha subito l’intervento o l’evento cardiaco acuto a una propria autonomia, restituendola a una vita normale ma che rispetto a prima ha il vantaggio di insegnare quali siano i comportamenti alimentari e lo stile di vita corretti. Questo è il motivo per cui il trattamento riabilitativo può essere considerato un trattamento salvavita, nel senso che riduce la mortalità, migliora la qualità di vita, riduce ansia e depressione.

È quanto è emerso anche da un congresso che si è tenuto all’interno di Humanitas Gavazzeni il 5 aprile scorso, a cui hanno partecipato alcuni tra i più noti cardiologi riabilitatori della Lombardia, e che ha avuto un buon successo in termini di medici, infermieri e fisioterapisti. Abbiamo spiegato l’efficacia della riabilitazione nelle sue diverse possibilità (ospedaliera, ambulatoriale, domiciliare) sulla cardiopatia ischemica, sull’arteriopatia periferica, nello scompenso cardiaco, dopo un intervento cardiochirurgico. Nella lettura finale è emerso proprio l’aspetto della riabilitazione come trattamento salvavita. Purtroppo solo poco più del 10% dei pazienti che hanno subito un evento cardiaco acuto viene avviato a un programma di riabilitazione.

In Humanitas Gavazzeni stiamo cercando di ovviare a questo problema non limitandoci a una riabilitazione da ricovero ospedaliero, riservata ai pazienti più compromessi, ma ampliandola con un’offerta di trattamento intensivo ambulatoriale per cui il paziente, reduce da un evento cardiaco, potrà tornare a casa e venire in ospedale tutti i giorni per due o tre settimane sottoponendosi a un programma di fisioterapia ed esercizio fisico, rivalutazione cardiologica quotidiana, educazione sanitaria e consulenze con dietista e psicologo».

Con gli incontri di educazione sanitaria “Ho a cuore il mio cuore” che si svolgono ogni mese in Humanitas Gavazzeni, vi rivolgete ai pazienti malati di cuore e ai loro familiari, indicando loro un percorso riabilitativo corretto. Quali risultati state ottenendo?

«I risultati di “Ho a cuore il mio cuore” sono soddisfacenti: sia per i pazienti sia per il pubblico esterno che viene a sapere di questi incontri aperti al pubblico tramite il nostro sito o i media; quanto viene raccontato riscuote un notevole interesse. Al di là di informare i pazienti sul tipo di malattia che hanno avuto e su come è stata curata, cerchiamo di educare chi ci ascolta sui segnali di allarme dell’attacco cardiaco acuto: quando bisogna preoccuparsi e chiamare subito il 118, tenendo presente che se sappiamo di avere in corso un infarto miocardico si può perfezionare la comunicazione con gli operatori sanitari così da ottimizzare il percorso di cura non appena il malato arriva in Pronto Soccorso; ma se chi ha il dolore non è stato educato a intervenire subito e ricorre alle cure mediche in ritardo, 7/8 ore dopo l’inizio dei sintomi (ciò che si chiama il “ritardo evitabile”), anche le cure più perfezionate avranno poi un’efficacia molto limitata».