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Per il piede diabetico la prevenzione resta l’arma fondamentale

Il diabete è tra le malattie più diffuse del pianeta tanto che per descriverne l’incidenza viene utilizzato il termine “epidemia”, pur non essendo una malattia infettiva trasmissibile. In Italia il dato parla di oltre 3 milioni di persone affette da diabete, pari al 4,9% della popolazione.

Si stima anche che un milione di persone (1,6% della popolazione) abbia il diabete. Ma non sia stato diagnosticato. Ci sono poi 2,6 milioni di persone che hanno difficoltà a mantenere le glicemie nella norma, una condizione che nella maggior parte dei casi prelude allo sviluppo del diabete di tipo 2: il 4.3% della popolazione.

Nel 2030 si prevede che in Italia le persone diagnosticate con diabete saranno cinque milioni mentre, complessivamente nel mondo, si stima saranno circa 600 milioni.

Una malattia con un grande impatto sociale e assistenziale, legata anche a una serie importante di complicanze, dagli arti inferiori agli occhi, dai reni al cuore.

Dopo vent’anni di malattia, infatti, circa il 70% dei diabetici sviluppa alterazioni nervose (neuropatia) e vascolari (arteriopatia), causa del piede diabetico.

Ne parliamo con il dottor Giacomo Clerici, responsabile del Centro di terapia del Piede Diabetico e per la prevenzione delle amputazioni di Humanitas Gavazzeni Bergamo.

Il piede diabetico è la complicanza più grave per chi soffre di diabete?

«Purtroppo è così. Nel 2003 l’International Working Group of Diabetic Foot, ha ridefinito il piede diabetico come “piede con alterazioni anatomo funzionali determinate dall’arteriopatia occlusiva periferica e/o dalla neuropatia diabetica”, volendo estendere in questo modo la definizione a una più vasta platea di soggetti diabetici che presentano un elevato rischio ulcerativo, e non solo ai pazienti con una lesione ulcerativa in atto. L’epidemiologia del piede diabetico mostra un quadro allarmante in quanto il 15% dei pazienti presenteranno una lesione ulcerativa durante la loro vita e – nella nostra esperienza – praticamente il 99% delle amputazioni effettuate nella popolazione diabetica per problemi infettivi o ischemici, sono purtroppo precedute da una lesione ulcerativa».

Il rischio di amputazione dell’arto per la degenerazione delle ulcere, seppur in calo, è ancora troppo alta…

«Negli ultimi anni si è registrato un abbattimento del 30% delle amputazioni in Italia a carico dei pazienti con il diabete, ma l’intervento chirurgico demolitivo sia parziale (minore), sia totale (maggiore), è ancora troppo alto. Ridurre il numero delle amputazioni è però possibile grazie alla collaborazione di specialisti diversi e all’utilizzo di nuove tecnologie, sia nel campo della rivascolarizzazione, sia in quello, ad esempio, dei tessuti ingegnerizzati».

Come migliorare?

«Con una diagnosi tempestiva e una corretta terapia. Quando un paziente arriva nel nostro Centro per una prima visita, viene sottoposto a una valutazione vascolare (esame clinico, Doppler e valutazione dell’ossimetria transcutanea) e a una valutazione neurologica (monofilamento, biotesiometro, riflessi osteotendinei) al fine di classificare il grado di rischio ulcerazione. Per quanto riguarda i primi trattamenti, in caso di lesione ulcerativa viene eseguita una stadiazione dell’ulcera, una valutazione del grado di infezione e di ischemia. Dal punto di vista terapeutico vengono eseguite, quando necessario, una toilette chirurgica e una medicazione. In caso di ulcera neuropatica plantare viene sempre consigliato lo scarico della lesione ulcerativa plantare durante la deambulazione con l’ausilio di calzatura da medicazione con soletta di scarico (tumore di scarico removibili o non removibili) o con il Total Contact Cast, in pratica uno stivaletto in vetroresina».

Sul piede si può fare prevenzione?

«Per evitare la comparsa di guai ai piedi è assolutamente necessario fare prevenzione primaria. I pazienti devono imparare a “guardarsi” i piedi tutti i giorni per scoprire la presenza di una piccola lesione, di un’iniziale infezione o di una callosità plantare non presente prima».

 (Articolo pubblicato sul quotidiano “L’Eco di Bergamo” del 2 aprile 2017)