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L’infermiere: lavoro difficile, soddisfazioni impagabili

Quella dell’infermiere è una figura fondamentale del sistema sanitario, una risorsa per la società che cura e assiste i malati supportando i loro familiari. Negli ultimi decenni la sua professionalità è cresciuta acquisendo competenze tecniche e relazionali sempre più affinate nelle aree della prevenzione, riabilitazione, educazione, formazione, ricerca e organizzazione. La legislazione, in questo senso, ha fatto la sua parte. Alle scuole infermieristiche si sono sostituiti i corsi di laurea e con il decreto Lorenzin è stato riconosciuto l’Ordine degli Infermieri.

Maggio è il mese in cui si celebra la Giornata Internazionale dell’Infermiere, istituita in ricordo di Florence Nightingale, nata il 12 maggio del 1820 a Firenze, la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna. Abbiamo colto l’occasione per parlare della modernità di questa professione con Katia Morstabilini, responsabile dei Servizi Assistenziali di Humanitas Gavazzeni e Humanitas Castelli.

Dottoressa Morstabilini, partiamo dal corso di laurea in infermieristica che come Humanitas University avete inaugurato lo scorso ottobre. Come sta andando?

«Molto bene. I 30 studenti hanno terminato le lezioni in aula, davvero fitte e impegnative, e ora sono in ospedale impegnati nei tirocini formativi. Poter avere gli studenti del corso di laurea nel nostro ospedale ci permette di trasmettere conoscenze, ci dà la possibilità di crescere qualcuno in questo lavoro così difficile. È una grande occasione poter insegnare a questi studenti come “fare l’infermiere”.

Vale la pena fare l’infermiere?

«La professione infermieristica non è certamente un lavoro facile, è faticoso sia dal punto di vista fisico sia psicologico e con la crescita dell’aspettativa di vita la complessità assistenziale è decisamente più impegnativa. Ma le soddisfazioni che restituisce sono fortissime e motivanti soprattutto se le sfide di miglioramento della qualità dell’assistenza al malato e dell’organizzazione del lavoro sono continue».

In humanitas Gavazzeni state lavorando per avviare, tra i pochi ospedali in Italia, il Primary Nursing. Di che cosa si tratta?

«È un modello organizzativo per l’erogazione di assistenza infermieristica. Con questo sistema viene assicurata un’assistenza personalizzata in tutte le fasi che il paziente deve attraversare. Conoscendo nel dettaglio la storia clinica di ogni ricoverato, l’infermiere referente può garantire la continuità delle cure e il coordinamento dell’assistenza. Come già avviene, si interfaccerà con il gruppo multidisciplinare legato al paziente (medico, fisioterapista e tutti i professionisti sanitari necessari per ogni singolo caso) e, grazie al rapporto che viene a crearsi anche con i familiari del malato, contribuirà a creare un percorso di cura che mette a confronto paziente, familiari e tutti i professionisti sanitari. Introdotto nell’ospedale universitario del Minnesota nel 1970, è molto utilizzato negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni. Nelle poche strutture in cui viene applicato in Italia, il grado di soddisfazione a livello assistenziale è altissimo. In Humanitas Gavazzeni abbiamo concluso la formazione per il personale e iniziato un’attività di formazione sul campo con Ieo e l’ospedale di Biella; contiamo di attivarlo il prossimo anno».

Un progetto che vede centrale il ruolo dell’infermiere nel vostro ospedale è la lotta al dolore…

«Humanitas Gavazzeni ha individuato nel controllo e nel trattamento del dolore un obiettivo strategico della propria programmazione tanto da essere anima portante del progetto “Ospedale senza dolore”. La gestione del dolore viene valutata e seguita in modo appropriato dall’infermiere del dolore. Il suo compito è essere interlocutore del paziente per la valutazione del dolore, prima e dopo l’intervento, collegamento con l’anestesista di riferimento e supporto ai colleghi di reparto nella somministrazione della giusta terapia».

 

(Articolo pubblicato il 6 maggio 2018 sul quotidiano “L’Eco di Bergamo”)