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Il Leone di Michela Murgia

La scrittrice sarda Michela Murgia è mancata dopo una lunga malattia il 10 agosto 2023. Tra le tante e forti parole scritte nella sua vita e carriera, c’è anche un racconto dedicato ai pazienti e agli operatori sanitari degli ospedali Humanitas Gavazzeni e Castelli a Bergamo.

Michela Murgia, infatti, aderì, insieme ad altri dieci autori della cultura italiana, nel 2020, al progetto “Opere in Parole” con l’obiettivo di accompagnare con storie e parole la vita e il percorso di cura dei pazienti.

Il Leone di Michela Murgia

Il racconto di Michela Murgia s’intitola “Il Leone” che può essere letto e ascoltato cliccando questo link https://www.lacarrarainhumanitas.it/oip-autore/oip-michela-murgia/, cercando “Opere in Parole” su Spotify o inquadrando il codice QR presente sulla parete del reparto dell’ospedale ‘dedicato’ al suo racconto.

“Il Leone” nasce dalla visione di due dipinti di Accademia Carrara che hanno vita in maxi-formato sulle pareti nelle strutture Humanitas a Bergamo: “Ritratto di fanciulla con ventaglio” dell’artista Pitocchetto e “San Girolamo e il leone” di Van der Weyde.

Nelle sue parole ci sono animali di affezione, domestici e selvatici. Una distinzione che si fonda sul tipo di rapporto che l’uomo ha con loro che nel racconto di Michela Murgia diventa la chiave di lettura delle relazioni tra le persone: più precisamente tra una donna e il suo uomo, in un moto di amore, orgoglio e libertà rimuginato nel luogo della mente dove tutti noi culliamo i pensieri non detti. Un racconto onirico che vive, respira e si conclude in un sogno: quello di una donna che di notte sogna di essere un leone, per poi, al risveglio, scoprire la differenza tra realtà e fantasia.

“A volte penso che devo essere stata leone in un’altra vita. Nei sogni mi sembra a volte di sentirmi ruggire. Poi mi giro nel letto ed eri tu che russavi”, scrive Murgia nel suo racconto.

Ed è in queste parole finali, velate di un’ironia di cui è capace solo una grande scrittrice, che arde l’essenza di Michela Murgia che riecheggerà in eterno.

Perché il suo ruggito lo sentiamo ancora.

Michela Murgia a Trieste Next

“Di questo progetto mi ha affascinato il fatto che si mettesse in relazione l’arte con percorsi di salute che all’interno degli ospedali spesso sono funzionali e non relazionali. Mentre l’arte è uno strumento assolutamente relazionale e non sempre nel senso consolatorio del termine perché l’arte può essere estremamente destabilizzante scuotendoci le certezze. E per certi versi la malattia fa così. Ti trova in una situazione in cui sei forte e sicura di te e ti costringe e ripensarti in altri termini”, così Michela Murgia raccontava il progetto Opere in Parole e la motivazione che l’avevano spinta ad essere una delle sue penne e voci, nell’edizione 2021 di Trieste Next, Festival della ricerca scientifica, in cui venne presentato il progetto.

“Scegliere queste due opere è stata una sfida per me perché nella mia vita ho avuto più a che fare con la salute che con la malattia, ma quando ho avuto a che fare con la malattia essere una scrittrice mi ha aiutato tantissimo. La mia esperienza personale con gli ospedali purtroppo è sempre stata quella della funzione e non della relazione e, anche se quella funzione ha ‘funzionato’ perché sono entrata in ospedale malata e ne sono uscita guarita, se avessi avuto l’opportunità di vivere un’esperienza di bellezza e arte costruttiva e distruttiva come quella che voi avete creato, probabilmente avrei trovato prima le parole per dare un significato più profondo a quello che stavo vivendo”.

Opere in Parole

Opere in Parole è un esperimento unico in Italia in cui oltre 1200 metri di arte in maxi-formato tratti dai capolavori del museo bergamasco Accademia Carrara e che adornano le pareti delle sale d’attesa e dei reparti dei due ospedali bergamaschi, sono accompagnati dalle parole e dalle voci degli autori che hanno preso parte al progetto attraverso racconti (e non solo) ispirati alle opere d’arte e dedicati ai pazienti e agli operatori sanitari. Le loro voci e parole accompagnano pazienti, personale sanitario e visitatori, con l’obiettivo di cambiare il modo di vivere l’ospedale ma anche l’esperienza umana di fronte alla malattia.