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Dipendenza dal cibo, per risolverla la psicologia può aiutare

Il cibo è necessario al nostro organismo per vivere bene e in salute, tuttavia alcune persone ne sviluppano un rapporto di dipendenza, in modo continuativo oppure in alcuni periodi di vita. Ne parliamo con la dottoressa Barbara Mingardi, psicoterapeuta dell’equipe del Centro Obesità di Humanitas Gavazzeni.

Dottoressa Mingardi, ci sono cibi che creano dipendenza?

«Da un punto di vista emotivo, non esistono cibi che creano, di per sé, dipendenza. Il rapporto che una persona sviluppa con il cibo e l’utilizzo che fa di esso è legato alla sua interiorità ed ai suoi contesti relazionali, presenti e passati. La dipendenza non nasce quindi da un cibo in particolare, ma da un insieme di fattori come personalità, cultura, ambiente».

Come si può capire di esserne dipendenti?

«Il rapporto con il cibo è parte integrante dei nostri vissuti dalla primissima infanzia e rappresenta fin dalla nascita un canale di comunicazione significativo con il mondo. Rimane quindi, per tutta la vita, un elemento carico dell’interiorità di ogni persona. Può diventare un disturbo clinicamente significativo quando la condotta alimentare incongrua diventa una modalità sintomatica, che la persona utilizza in modo costante per compensare un conflitto oppure un vissuto di sofferenza».

Un supporto psicologico può essere utile?

«Un lavoro psicologico diventa utile per aiutare la persona a capire di quale tipo di difficoltà possano essere espressione le sue condotte alimentari. L’intervento dello specialista si rende necessario quando il rapporto con il cibo inizia a creare sofferenza e disadattamento, condizionando la vita della persona».

Nel Centro Obesità, che ruolo ha la sua professionalità?

«Il lavoro psicologico con il paziente obeso che si rivolge al nostro Centro per valutare un percorso di chirurgia bariatrica, prevede dapprima una consultazione volta alla conoscenza del paziente, al suo stile alimentare, all’evidenziarsi o meno di vissuti di tipo psicopatologico ed alla natura della sua motivazione al trattamento. In caso di intervento chirurgico, si effettuano successivi colloqui di supporto, per aiutare il paziente a gestire i cambiamenti che si presenteranno, a mantenere aspettative adeguate rispetto al progetto di cura e ad integrare la nuova immagine di sé con quella precedente, in modo che l’evento chirurgico venga percepito come un personale processo trasformativo».

Cosa consiglia per vivere al meglio il rapporto con il cibo?

«In generale, il consiglio è quello di non avere timore di approfondire il rapporto con sé stessi, cercando di capire quali possano essere gli elementi della propria storia e della propria personalità che influenzano il rapporto con il cibo. In questo modo si può diventare più consapevoli dei propri meccanismi interni ed avere più strumenti da mettere in campo per risolvere eventuali difficoltà ed acquisire un maggiore benessere».

(Testo tratto dall’articolo pubblicato domenica 20 febbraio 2022 sulla testata “L’Eco di Bergamo”)