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Infarto, conoscere per prevenire

 

L’importanza della prevenzione è un concetto noto sin dagli albori della pratica medica. Oggi, pur potendo contare su tecniche sempre più innovative, precise e mininvasive, abitudini dannose e stili di vita non corretti continuano a minare la salute del nostro cuore facendo crescere, anziché diminuire, il numero delle patologie cardiovascolari. Come l’infarto, un iniziale “malessere” che può tradursi in un dramma ma che, riconosciuto per tempo, può essere curato.

 

«Se una coronaria si chiude – spiega Bruno Passaretti, responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione di Humanitas Gavazzeni – la porzione di cuore che viene da essa nutrita soffre e poi muore. Questo processo avviene in 6 ore ed è questo il tempo massimo entro cui bisogna intervenire: se si arriva tardi i benefici di un intervento possono purtroppo essere molto limitati».

Come si riconosce l’infarto

Per quanto non si possa generalizzare, il dolore tipico dell’infarto è caratterizzato da un senso di oppressione o stringimento che può generarsi al centro o sul lato sinistro del petto. Può irradiarsi a tutte e due le braccia o a una sola, in genere quella sinistra. Il dolore può salire fino alla mascella, scendere a livello dello stomaco o irradiarsi sul dorso.

 

«Il dolore – precisa Antonino Pitì, responsabile dell’Unità Operativa di Cardiologia di Humanitas Gavazzeni – è dovuto al fatto che le cellule del cuore stanno soffrendo. Il dolore è il campanello d’allarme, il segnale che c’è qualcosa che non va e che bisogna chiamare il 112 (ex 118) per verificare se sia in atto o meno un infarto».

Il fattore tempo è cruciale

In caso di infarto si hanno dunque a disposizione sei ore per agire. Pertanto le unità coronariche degli ospedali si sono dotate di strumentazioni che consentono di riaprire le coronarie nel più breve tempo possibile, iniziando l’intervento appena il paziente arriva in struttura.

 

«Il tempo che più conta, quello sul quale l’ospedale può fare poco – prosegue il responsabile di Cardiologia – è il cosiddetto “ritardo decisionale”, il tempo che il paziente utilizza per decidere di rivolgersi a un medico. Se la decisione viene presa subito, le possibilità di intervenire sull’infarto sono ottime, se invece si lasciano trascorrere ore prima di prendere una decisione, diventa difficile riuscire a salvare la parte del cuore colpita».

 

Arrivato in ospedale, dopo che l’infarto è stato diagnosticato e comunicato ai medici dagli addetti del 112 (ex 118), il paziente viene portato in sala angiografica per una coronarografia. «La coronaria viene riaperta utilizzando un minuscolo palloncino, poi viene installato uno stent, una piccola protesi metallica che tiene aperta la coronaria nel punto occluso – spiega Guido Belli, responsabile del Laboratorio di Emodinamica di Humanitas Gavazzeni –. Seguiranno cure farmacologiche a base di farmaci antiaggreganti per impedire che lo stent si richiuda. Nel giro di circa un anno le cellule della parete della coronaria ricopriranno interamente lo stent e la situazione potrà dirsi stabilizzata». Ma non bisogna comunque abbassare la guardia.

Lo stile di vita è importante

La prevenzione è fondamentale per contenere gli infarti. «Tutti – sottolinea il dottor Passaretti –, sia chi ha subito un infarto, sia chi è considerato a rischio, devono adottare uno stile di vita corretto con un’alimentazione sana accompagnata da una buona attività fisica, e tenere sotto controllo pressione, colesterolo, sovrappeso, sedentarietà, diabete; fattori di rischio che si aggiungono a quelli non modificabili come familiarità e inquinamento ambientale. E abolire il fumo».

Rispettare il cuore

Sul fronte del mantenimento del fisico non servono grandi sforzi. Anzi, sforzi troppo intensi e prolungati vanno evitati se non sono supportati da adeguati allenamenti.

 

«Bisogna rispettare il cuore, imparare ad ascoltarlo – dice Pietro Agostini, fisiatra di Humanitas Gavazzeni –. Quando si ha un affanno intenso e il cuore batte in maniera eccessiva, bisogna concedergli riposo. Questo rispetto è ancor più importante per chi ha una patologia in atto». Per mantenere in salute il cuore qualsiasi movimento va bene, salire le scale come camminare. «Noi seguiamo anche una metodologia che prevede un’attività fisica a sforzo moderato, fino a quando cioè non viene il fiatone che impedisce di parlare – spiega il dottor Agostini –, per 30 minuti ogni 48 ore. Se si riesce a mantenere questo impegno nel tempo, senza interruzioni, si può ridurre di molto il rischio d’infarto e anche del 50% la possibilità di recidiva».

Colpiti da infarto? Bisogna pensare positivo

Se si stati colpiti da un infarto, è importante che il paziente affronti la nuova vita da post infartuato con positività. E non è solo una questione di umore. «È provato – spiega Agnese Rossi, psicologa di Humanitas Gavazzeni – che coloro che affrontano con un approccio positivo e collaborante la malattia cardiaca e lo stile di vita che ne segue, hanno una mortalità inferiore rispetto a quelli che al contrario affrontano la riabilitazione con scarsa motivazione. È indubbio che chi accetta in modo attivo la malattia, con il desiderio di essere protagonista della propria salute, è maggiormente disposto a modificare abitudini alimentare scorrette, a svolgere esercizi fisici con gratificazione, ad avere una vita relazionale e sociale più dinamica, dando maggiore fiducia al proprio corpo, progettando cambiamenti costruttivi del proprio stile di vita. Tutti questi comportamenti agiscono su una migliore prognosi e su una migliore qualità della vita. Prendersi cura degli aspetti emotivi è fondamentale per questi pazienti al fine di raggiungere un completo benessere psico-fisico».